Il giorno in cui… Il nuovo racconto di Margherita Cafagna

Ho perso un amico in un giorno in cui ero distratta.
Mi chiamo Viola, ed ho perso un amico.
Il migliore tra tutti gli amici che ti attraversano senza guardarsi indietro.
Questa volta, sono stata io a dovermi girare, ma troppo tardi persino per scorgerne le spalle.
Le stesse, che ho pensato di aver protetto fino a quel giorno, il giorno in cui mi sono
distratta.
Continuo a chiedermi come abbia fatto a distogliere l’attenzione così profondamente, o
come lui abbia potuto cogliere quell’attimo con tanta foga da dissolversi oltre di me senza un tempo.
Ma la conclusione non cambia, è tutto il resto a mutare.
Sarebbe stato un giorno come tanti, di cui perdi il numero ed il contenuto.
C’era il sole? Forse era nuvolo, o magari semplicemente il cielo era come il giorno prima, o quello prima ancora.
Nulla che potesse differenziarlo dalla sua stagione di appartenenza.
Non un giorno gelido d’Agosto, ne uno afoso di Gennaio.
Se non fossi stata costretta a voltarmi di scatto, si sarebbe perso nella memoria del tempo.
Vorrei poter raccontare cos’abbia portato all’assenza della persona più ingombrante della
mia vita.
Anni di parole nelle parole, tra parole non ancora scoperte, da inventare pur di toccare il
concetto inespresso, fino ad arrivare a questo silenzio spiazzante.
Mi sanguinano le orecchie se provo ad ascoltarlo.
Il silenzio più vuoto che abbia mai avuto la sfortuna di sentire.
Forse sbaglio punto di vista, dovrei cambiare angolazione, chiedermi se è stato veramente
quello il giorno in cui ho peccato di attenzione, o solamente quello in cui drasticamente mi è stato suggerito di guardare dietro di me e non di fronte.
Ed è proprio qui che mi blocco, ogni volta.
Ogni volta che il pensiero si schianta alla base del mio cuore.
Proprio lui, tesoriere delle mie debolezze, contabile delle mie mancanze, ha deciso di
aggiungerne un’altra.
E mi chiedo perché… perché non mi ha permesso di ricucire lo strappo!
Era forse troppo largo? Troppo lungo? Ampio, profondo??
Così fosse stato, perché non dirmi: “Ehi tu! amica di una vita, non sarà il caso di guardare dentro di me, e non solo davanti?”
La risposta è più semplice di quanto mi resti la ricerca della stessa, evidentemente.
E allora, mi trovo di nuovo a capo di questo scritto, a ripetermi nuovamente che vorrei
raccontare cos’abbia portato alla punizione, ma la verità difficile da accettare ma semplice
da comprendere, è che non sono stata considerata all’altezza di sapere, proprio da te, che di me sapevi tutto.
Ora per esempio, che sto camminando tra i miei pensieri, proprio ora come di abitudine ti
avrei chiamato.
Mi avresti accompagnato in ogni angolo di questa città, senza lasciarmi nemmeno un
istante. Mi sarei sentita meno sola, meno confusa tra i miei malesseri.
Avresti ascoltato ogni parola come fosse l’ultima in mio possesso, e con altrettanta
accuratezza, avresti dispensato le tue.
Invece mi limito al pensiero, cercando a tentativi di intuire quelle risposte che timidamente mi avresti dato, guidata dal ricordo.
Questo mi hai lasciato.
Questo è tutto ciò che mi è concesso di attuare, semplici congetture date da una
conoscenza tanto nitida quanto sbiadita.
Continuo a camminare, ed è così caldo, caldissimo.
Di quel calore che ti solleva gli strati di pelle, e ti toglie quella voglia di fumare che
solitamente, da cattiva amica qual è, non ti abbandona mai.
Cammino per stabilizzare il respiro, ascoltando qualcosa che riempa quel silenzio che tu hai deciso di darmi in gestione,  quel giorno in cui mi sono distratta.

 

L’Autrice 

Nasce a Roma, classe 1996, una crescita adolescenziale nella Tuscia, assaporando gli scorci del lago e della campagna montefiasconese. Amante degli animali, condivide oggi la sua vita di studentessa all’Accademia di Brera, con il suo amato cane. Ha scritto  per TusciaUp due reportage sulla Milano del Covid-19. Apprezzati dai lettori.I racconti brevi sono il suo esordio nella scrittura.

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