Giovanni Battista Sguario: “L’Ardenti chiusa è un danno economico e un vulnus al patrimonio storico e culturale della città”

Un’ora è francamente tempo troppo risicato per una chiacchierata su progetti sospirati e sull’amarcod di una vita professionale. Tanti ricordi, troppi, anche perché chi sta prendendo appunti è stato di Giovanni Battista Sguario lontanissimo compagno di liceo e rivale nei campetti di calcio della Viterbo che fu. Un’ora, seduti l’uno di fronte all’altro – a rigorosa distanza Covid – su una panchina della piazza centrale di Bagnaia. Sì, un’ora è davvero un atomo di tempo per ripercorrere quaranta anni, quanti Sguario ne trascorsi da bibliotecario innamorato, prima come vice di Attilio Carosi e poi alla direzione del Consorzio Biblioteche. Nel 2014 la sospirata pensione. “Mica tanto”, sibila alzando gli occhi al cielo. “Sono un giudice mancato perché ho sposato la figlia di un magistrato e due togati in famiglia a Viterbo sarebbero stati davvero troppi. Il concorso all’Ardenti fu quasi una necessità, poi l’amore sviscerato per le letture e per i libri ha fatto il resto. Oggi Giovanni Battista ostenta serenità: “Mi dedico ai nipotini e al bridge. Insieme, siamo in grado di giocare acca ventiquattro perché affrontiamo anche rivali di oltre Oceano, grazie al pc”. Prova a riassumere la storia delle due biblioteche viterbesi con una premessa: “Purtroppo sono sempre un po’ prolisso. Sintetizzi lei. La biblioteca comunale degli Ardenti salta letteralmente in aria nel maggio del ’44 sotto le bombe degli alleati. Era ospitata a palazzo Pocci. Un quarto dei settantamila volumi che custodiva è irrimediabilmente perduto. I libri che non vanno in fumo vengono rubati o finiscono per alimentare il fuoco delle stufe. L’Ardenti sorgeva in via Matteotti, esattamente dove fino ad alcuni anni fa c’era un buco e dove poi è spuntato…un mostro. Ma lasciamo perdere”. Dieci anni senza una biblioteca sono troppi per una città di cinquantamila anime. Poi avviene un miracolo tutto politico. “Nel ’54 il Pci che governa la Provincia apre la sua Anselmi in via Saffi. La Dc accusa il colpo e in appena sei mesi (re)inaugura  la sua Ardenti nel cinquecentesco palazzo Santoro, già sede della Guardia Nazionale Repubblicana”. Pareggio in tempi impensabili per le dinamiche moderne. Nomi e cognomi dei protagonisti una volta tanto possono anche essere omessi, anche per dovere di sintesi. Viterbo mette insieme una dote di almeno centomila libri. Precisa Giovanni Battista: “Diciamo che l’Ardenti era specializzata sui testi storici e sull’informazione in generale, tanto che acquistavamo dieci quotidiani per mattina, mentre l’Anselmi custodiva libri tecnico-scientifico, romanzi, volumi per studenti. Un bel connubio tra alta moda e pret à porter. Offerta generosa per gli anziani e attenzione per i giovani. Le porto una tenera testimonianza. Quando anni addietro, fummo costretti a trasferire l’Anselmi, armi a bagagli, prima dalla sede di via Saffi, poi a quella provvisoria di via della Ferrovia e infine a quella di viale Trento, sotto i pianali delle scrivanie trovammo appiccicate diverse gomme americane con annessi messaggi il più delle volte a sfondo amoroso. Carezze affidate a pizzini compilati tra una pagina letta distrattamente e uno sguardo furtivo. Allora non c’erano mica i telefonini”. Comunque gestire due biblioteche era chiaramente un lusso, soprattutto dal punto di vista finanziario. “L’Anselmi poteva contare su qualche cospicuo finanziamento e si permetteva acquisti di qualità, l’Ardenti andava avanti con le donazioni del ministero”.  Sopravvivenza impossibile dunque anche per la consistenza diversa delle risorse.  Alla fine, nel ’73, ecco il Consorzio con lo scopo di riunire in un’unica sede le due biblioteche e i loro centomila volumi a viale Trento. E siamo ai giorni nostri. Uno dei parametri di successo di una struttura è la sua fruibilità. Non crede? Giovanni Battista scuote la testa: “Un criterio che non va bene quando si parla di biblioteche in generale. Oggi c’è internet, ma soprattutto la gente ha smesso di leggere. Le porto un esempio emblematico: noi all’Ardenti avevamo la famosa Treccani alla quale ogni due o tre anni dovevamo rifare i dorsi perché chi andava a spiccare i volumi li agganciava con le dita dai bordi, ci dotavano anche di copertine di ricambio, be’ adesso i volumi della Treccani sono intonsi”. E il futuro? “Innanzi tutto serve un’unica biblioteca per le due sedi. L’Ardenti è chiusa e nessuno sa quando potrà e se potrà riaprire. Tempo addietro si era pensato all’ex Okay, ma la spesa era francamente insostenibile per Provincia e Comune. La seconda biblioteca è a viale Trento, una sede accogliente e moderna, peccato che non abbia pubblico. E poi è privata, ha un costo e un tempo definito di affitto. Palazzo Santoro invece è di proprietà comunale. Il che potrebbe essere oggetto di riflessione. Magari un’alternativa potrebbe essere quella di poter utilizzare l’edificio della ex Banca d’Italia. Aggiungo, e non è un dettaglio, che con l’apertura della facoltà dei beni Culturali il consorzio aveva più di centomila frequentatori all’anno. Un dato che oggi non è neppure lontanamente immaginabile”. L’Ardenti chiusa a tempo indeterminato è un danno economico e un vulnus al patrimonio storico e culturale della città. “C’è chi propone di intitolare una via della città al Conclave. Bene. Dov’è la pergamena che lo istituì? All’Ardenti ed è un pezzo unico con tanto di sigilli originari. Si tratta di una lettera che i cardinali rinchiusi scrissero ai viterbesi e poi gettarono da una finestra. Abbiamo poi la bibbia manoscritta di San Tommaso risalente al tredicesimo secolo che proviene dal convento di Santa Maria di Gradi. E ancora altre due pergamene vergate da Federico II: la prima istituisce il viterbino, cioè il soldo locale nato con il diritto di battere moneta e la seconda è il documento che dà vita al mercato della Quercia, un mercato franco che per quindici giorni a settembre ospitava commercianti di tutta Italia. Di pergamene federiciane ne esistono a mondo cinque o sei. Noi ne abbiamo due che ogni anno venivano studiate da decine di studenti tedeschi. Tutto bloccato perché l’Ardenti è inagibile. Per valorizzare i i nostri tesori magari sarebbe suggestivo immaginare una bella biblioteca con teche per i reperti storici della comunità. Mancano i soldi, specialmente di questi tempi, ma le idee, che diamine, non costano più di tanto”.

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