Gioco a perdere

*di Carolina Peciola

Tra le mura di Villa Melia, Silvia  con le proprie debolezze. L’incontro con Alda, nel corridoio davanti all’infermeria, può essere per lei fatale. Per I racconti del giovedì, la quarta puntata di Gioco a perdere, un racconto ideato da Rossella Cravero, Italo Della Reda, Lucia Noschese e Carolina Peciola. Buona lettura…

Luca assiste non visto a tutta la scena. Ha interrotto l’inventario dei medicinali attirato dalle voci che provengono dal corridoio. Attraverso la porta socchiusa del piccolo magazzino, guarda incuriosito la danza di Alda e il vano tentativo di Silvia di recuperare ciò che la vecchia stringe in una mano. Se non fosse per la divisa da infermiera, sembrerebbero tutte e due svitate.

Silvia ora si appoggia al muro, lo sguardo annichilito si posa sulle spalle di Alda che si allontana. Poi è un attimo, Luca la vede scattare e raggiungerla con un balzo. L’anziana è troppo fragile per mantenere l’equilibrio, rovina a terra, con Silvia sopra che le afferra i capelli bianchi con entrambe le mani e urla: «Vecchia pazza! Vecchia pazza!».

Dopo qualche secondo di sbigottimento, Luca molla il tablet su cui sta scrivendo e si precipita in corridoio. Afferra Silvia per i polsi urlando a sua volta: «Lasciala, lasciala andare, sei impazzita? Ma che stai facendo?».

Silvia si riscuote e le sue braccia, prima rigide, cedono all’improvviso. Luca, non trovando più resistenza, crolla sopra di lei. Tre corpi, uno sopra l’altro. Improvvisamente immobilità e silenzio.

«Ma tu guarda che cazzo di situazione!», impreca Luca mentre lascia i polsi di Silvia e fa leva con le mani sul pavimento per tirarsi su in ginocchio; poi scosta in malo modo la ragazza di lato e posa delicatamente una mano sul collo di Alda. Un gesto istintivo, vuole sentire il suo battito, teme il peggio per la donna schiacciata sotto il loro peso. Invece avverte la vena pulsare flebilmente, allora ruota il viso dell’anziana verso di sé. Ha le labbra sporche di sangue, deve essersi ferita urtando il pavimento. Gli occhi sbarrati fissano un punto oltre di lui, ma muove la bocca come se volesse articolare qualche parola.

«Si può sapere che accidenti ti è preso?», ringhia Luca contro Silvia, mentre delicatamente gira Alda a pancia in su e le scosta i capelli scompigliati dal viso.

Lei non risponde, giace ancora a terra nella posizione in cui è finita per la spinta di Luca. Guarda il soffitto, il suo respiro è affannoso, la fronte imperlata di sudore. Questa è matta, pensa Luca fissandola. Poi si alza veloce e va a recuperare una sedia a rotelle su cui adagia l’anziana.

«La porto in infermeria, voglio assicurarmi che non abbia niente di rotto», le dice con astio, senza guardarla questa volta. «Chiamerò il dottore, tu vedi di sparire da qui all’istante».

Silvia sente la carrozzina allontanarsi, l’attrito delle ruote di gomma sul linoleum. Si solleva e avverte una fitta al fianco, nel punto in cui Luca l’ha colpita.

Dopo aver sistemato Alda sul lettino e aver telefonato al dottore, Luca getta uno sguardo in corridoio. Silvia è ancora lì, seduta a terra, il viso nascosto fra le gambe piegate al petto, scossa dai singhiozzi.

«Ti ho detto di sparire, forza!», Luca le sibila nell’orecchio avvicinandosi. Poi la strattona per un braccio, sollevandola da terra. Silvia non oppone resistenza e si lascia trascinare nello sgabuzzino, mentre Luca richiude la porta alle loro spalle. Solo in quel momento vede i numeri scritti sul polso di lei. La scruta con aria interrogativa.

«Ce l’hai una sigaretta?», chiede lei per tutta risposta.

Luca fa finta di non sentire.

«Ma guardati, guarda come sei ridotta, potresti essere scambiata per una di loro», dice indicando con un movimento della testa il mondo fuori dallo sgabuzzino.

Il suo sguardo è feroce e Silvia osa appena alzare gli occhi. Le trema il labbro inferiore, il viso è ancora bagnato di lacrime.

Allunga una mano per sfiorare il braccio di Luca che pende inerme al lato del corpo. Immagina i muscoli sotto la divisa, di accarezzare lentamente i suoi peli, di far scorrere le dita su tutto quel corpo. Come quella volta, durante il turno di notte, quando avevano fatto l’amore in infermeria, in silenzio. È stato bello. Sarebbe bello se anche ora mi stringesse forte, tutto si risolverebbe, pensa Silvia.

Anche Luca adesso, che ha la bocca asciutta e fatica ad ingoiare, sta ripensando a quella notte. E ne è sorpreso, perché non ci torna quasi mai. Per lui non è stata altro che una delle tante scopate rubate nei momenti morti del lavoro. Senza di quelle non riuscirebbe a resistere alle interminabili giornate lì dentro. Ma con Silvia era successo solo quella volta. «Qui non sono ben viste le relazioni tra colleghi», le aveva detto per farle capire che la storia finiva lì.

«Ho dato un sedativo ad Alda, ora sta arrivando il medico a visitarla. Stavolta hai superato il limite, non sono più disposto a coprire le tue cazzate. Qui non si tratta di aver dimenticato di togliere una padella o di somministrare la pasticca della sera. Hai aggredito una paziente. Trova una giustificazione valida o ti sei giocata il posto».

*Carolina Peciola, giornalista, editor e consulente editoriale

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