Gianni Abbate, a tutto teatro da Napoli fino a Lubriano

di Arnaldo Sassi

Gianni Abbate

Una vita per il teatro. D’avanguardia, popolare e quant’altro. E un approdo nella Tuscia, a Lubriano, che proprio grazie a lui è diventata nota nel mondo dello spettacolo. Il protagonista della storia è Gianni Abbate, 71 anni, napoletano doc (nato in un quartiere popolare vicino al porto e poi trasferitosi nella più nobile Mergellina), attore, regista, scrittore, e chi più ne ha più ne metta. Una passione, quella per questo tipo di mondo artistico, nata molto presto, grazie a due componenti familiari. E’ lui stesso a raccontarlo.

“Avevo un prozio attore di avanspettacolo, che recitava insieme alla moglie. Negli anni ’30 si trasferirono a New York, dove ebbero una grande fortuna. Poi, in età avanzata, tornarono a Napoli e io ebbi modo di frequentarli. Poi c’era mia sorella, più grande di me, che cominciò a fare teatro. E io decisi di seguirla”.

Insomma, l’inizio di un’avventura che poi è durata nel tempo…

“Sì, proprio così. Io mi ero iscritto a giurisprudenza, ma nel frattempo facevo proprio con mia sorella i cosiddetti laboratori teatrali. All’epoca andava molto in voga il teatro d’avanguardia e si lavorava moltissimo. Così, dopo due anni, abbandonai gli studi e intrapresi definitivamente la strada artistica”.

E cosa fece?

“Avevo 25 anni e, oltre al teatro, ho cominciato a fare radio e televisione. Ebbi anche una parte in un film del 1981 di Liliana Cavani. Si intitolava ‘La pelle’ e aveva come attori principali Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale e Burt Lancaster”.

Cosa ricorda di quell’esperienza?

“Un Mastroianni delizioso. Io ovviamente ero molto emozionato e dovevo girare una scena insieme a lui. Mi si avvicinò e con voce dolcissima mi disse. ‘Stai tranquillo. Se la scena non va bene possiamo anche ripeterla’. E mi diede coraggio”.

Torniamo al teatro…

“Beh, mi dedicai anche al teatro tradizionale. Lavorai per tre anni con i fratelli Giuffrè, Carlo e Aldo. Poi, quando i due si separarono, continuai un altro anno con Aldo. Ma nel frattempo avevo cominciato a pensare a un mio percorso personale”.

E allora che fece?

“Andai a Volterra, dove misi in piedi una scuola di teatro, anche grazie ad alcuni finanziamenti. Andai a vivere in campagna e cominciai a scrivere i primi testi, nonché ad avere le mie prime esperienze da regista”.

Poi però, è sbarcato nella Tuscia…

“Un caso. Andai a trovare un amico che abitava vicino Lubriano, che mi segnalò un podere in vendita. Si chiamava podere Porcino. Con la mia compagna decidemmo di comprarlo e di ristrutturarlo. Ci venimmo a vivere, anche se io facevo il pendolare, perché andavo a lavorare con le compagnie teatrali”.

Quando è arrivato il teatro dei Calanchi?

“Ad un certo punto pensai di lavorare sul territorio, anche perché mi ero stancato di viaggiare. Seppi che a Lubriano c’era uno spazio utilizzabile. Parlai col sindaco dell’epoca e riuscii ad averlo in comodato d’uso. Lo risistemai a dovere, poi vinsi un bando della Regione Lazio e così cominciai la mia nuova attività”.

In cosa consisteva?

“Soprattutto organizzare spettacoli. Cominciai con Yves Lebreton, ma su quel palco sono saliti nomi di rilievo. Uno per tutti: Ascanio Celestini, che si è esibito ben due volte”.

E come andarono le cose?

“L’inizio non fu facile. Poi però cominciarono a venire spettatori, più da altre parti che dal territorio. Lubriano nessuno la conosceva, ma piano piano cominciò ad avere un minimo di notorietà, soprattutto per gli appassionati”.

Quanto è durata questa avventura?

“Fino al 2018, giacché il Comune non mi ha più rinnovato la convenzione”.

E adesso?

“Ho trovato uno spazio a Gradoli, il teatro Farnese. Però è un posto molto decentrato e diventa difficile organizzare una stagione. Soprattutto perché non ho più i contributi della Regione”.

E allora?

“Ho cominciato a scrivere. Nel maggio scorso ho pubblicato un libro molto particolare, edito da Ghaleb editore, dal titolo ‘Ballate sul mondo’. E’ nato durante il secondo lockdown. Un testo in cui ho fuso teatro e poesia e dal quale ho anche tratto un recital teatrale, con un musicista che mi accompagna. Si chiama Salvo Mcgraffio”.

E ora cosa bolle in pentola?

“Una mini rassegna appena andata in scena al teatro di Gradoli, dal titolo ‘Nella mia ora di libertà’. Con una compagnia teatrale musicale composta tutta da ex detenuti”.

E come vede il suo futuro?

“Voglio dedicarmi soprattutto alla scrittura. Sto revisionando un romanzo che uscirà il prossimo anno. Però, finché ce la farò, non abbandonerò il palcoscenico. Il rapporto diretto con il pubblico è e rimane la cosa più bella”.

 

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