Gianluca Braconcini: Misteri e Leggende di Strada Signorino

di Gianluca Braconcini*

La primavera ormai esplosa fa tornare i prati fioriti e verdeggianti, il sole tiepido solletica la voglia di camminare lungo le strade di campagna “pe’ fa’ du’ sparge” ed osservare meglio luoghi più o meno conosciuti scoprendo particolari interessanti e curiosi. Tra i vari luoghi suggestivi situati nelle immediate vicinanze della nostra città vi è la serie di strette gole che si trovano lungo Strada Signorino che prende il nome probabilmente da Signorino Signorini, un nobile viterbese che un tempo possedeva queste terre. In realtà si tratta delle cosiddette “vie cave”, affascinanti ed antichi camminamenti Etruschi; chi percorre questi corridoi a cielo aperto è subito avvolto da una sensazione intensa e particolare…come se entrasse in un mondo fatato. Ognuna ha il proprio nome: “La Cavarèlla”, “Santa Rosella”, “Piaggia della Sala”, “Mezzogrosso”, “Cava di Gorga” o di “ Sant’Antonio”; le loro dimensioni sono diverse ed in alcune, le alte pareti si restringono talmente tanto che la fitta vegetazione riesce a malapena a far passare i raggi del sole. Nel periodo medioevale, queste tagliate sono state molto utili ai viterbesi; la loro natura bellicosa così come la situazione storica e politica del tempo, li portava spesso a trovarsi in guerra sia con altri centri della Tuscia che con i tanto odiati Romani. Per questi motivi utilizzarono le strette gole, che tagliavano la campagna come lunghe fenditure, per organizzare e compiere pericolose imboscate e trabocchetti. Coprivano l’apertura con canne, foglie, rami e frasche, poi attirando abilmente i nemici li facevano precipitare nel vuoto insieme ai loro cavalli. Proprio la “Cava di Gorga” fu teatro nel Duecento di un memorabile scontro tra Viterbesi e Romani; fatto che viene ricordato anche nelle diverse “Croniche” cittadine.

Nel libro di Ignazio Ciampi “Cronache e Statuti della Città di Viterbo”, si descrive così l’episodio: “Anno 1200…li Viterbesi coprirno una cava, che si chiamava la Cava di Gorga, e la fecero fogliata, e pareva che sopra essa fosse un bello e spazioso piano: poi tutto l’orto acquatile da quel lato allagorno d’acqua, e però erano tutti fanghi. Li Romani vennero tutti a schiera e serrati l’uno appresso l’altro come pigne; ed essendo sopra detta cava fogliata, per lo gran peso di loro la cava sfondò, e ne cascorno tanti dentro nella cava, che più de mille ne morirno…”.
Le varie grotte lungo Strada Signorino che si aprono nelle pareti rocciose hanno da sempre stimolato bizzarre credenze popolari tanto da creare attorno a loro storie terribili e fantasiose, come quella della “Grotta del Cataletto”. Il cataletto era la barella con la quale si trasportava un morto e che spesso veniva adornata con paramenti molto pregiati. Secondo un’antica leggenda viterbese questa profondissima grotta, che arriverebbe addirittura alla sorgente del Bullicame, custodirebbe nelle sue profondità un baldacchino etrusco rivestito completamente d’oro ma sorvegliato da terribili spiriti demoniaci. I vecchi contadini raccontavano che qualcuno di loro avrebbe visto forti chiarori provenienti dall’interno ed una lunga processione di sacerdoti etruschi che cantando inni sacri trasportavano a spalla il cataletto d’oro. Tra i pochi che ebbero il coraggio di addentrarsi nei meandri della cavità ci fu un famoso guaritore di Pianoscarano, Girolamo Vitali, conosciuto col soprannome di “Niccopiccio”. Questi, nei primi del Novecento, insieme ad alcuni amici guidati dal misterioso “Libro del Comando” percorse molta strada all’interno della grotta ma nonostante le sue particolari capacità di sensitivo, non riuscì comunque a trovare quel favoloso tesoro. Mio nonno, che abitava in un podere poco lontano, mi raccontava sempre queste storie e di notte, tornando a casa dopo aver aiutato qualche vicino “a fà sgravà la vacca”, quando si trovava davanti a questo luogo, si faceva il segno della croce, recitava qualche preghiera e “a ciànche per’aria” si avviava al casale.

La Strada Signorino è anche testimone di un altro particolare episodio, nel quale si intrecciano storia e leggenda, accaduto diversi secoli fa nella “Cava di Sant’Antonio”: è la drammatica avventura vissuta nel febbraio del 1506 dal patrizio viterbese Spirito Spiriti che fu colonnello delle milizie papali e la cui famiglia aveva il palazzo su piazza San Lorenzo, di fronte alla Cattedrale, inglobato poi nel complesso del vecchio Ospedale. Il cavaliere di ritorno da Roma, venne inseguito da banditi armati di arco e frecce; per sfuggire alla morte spronò il cavallo in una folle corsa al galoppo per le campagne lì vicine fino a che non giunse in prossimità della tagliata etrusca, “…larga più de 10 braccia e profonda più de 60”, in località “Guado del Corgnàlo”. Trovandosi sull’orlo del precipizio, con alle spalle i banditi che volevano ucciderlo e convinto di non potercela fare, si raccomandò alla Madonna della Quercia per avere soccorso… e fu proprio a questo punto, che il cavallo riuscì prodigiosamente a spiccare un balzo talmente lungo da superare la cava, portando così in salvo il suo cavaliere. A questo punto si aggiunge la leggenda popolare, secondo la quale l’animale acquistando miracolosamente la parola avrebbe gridato al proprio padrone: “Reggiti o Spirito ch’io salto!”. L’avvenimento è documentato negli archivi dei miracoli della Madonna della Quercia ed in ricordo dell’episodio venne realizzato un affresco, ormai quasi del tutto scomparso, in una nicchia lungo la Cava di Sant’Antonio o di Gorga, nel quale è raffigurata a sinistra la Madonna della Quercia e Sant’Antonio ai piedi di un albero; a destra dei briganti armati di freccia ed il cavaliere Spirito che in sella al suo cavallo, salta il dirupo. Sulla pittura è presente una scritta, ormai illeggibile, che recita: “Fermati passegiero, il capo china, alla Vergine Maria nostra reggina 1854”.

L’affresco, restaurato nel 1992 dal pittore viterbese Rolando Di Gaetani, in realtà è un’opera successiva all’avvenimento del Cinquecento; l’originale, del quale rimane qualche piccola traccia, si trovava sopra di qualche decina di metri, a quel tempo infatti, il livello della strada era molto più alto. Il “miracolo” è inoltre raffigurato in una lunetta del chiostro con la cisterna della Basilica di Santa Maria della Quercia. Se dopo aver letto questo articolo la curiosità vi farà camminare lungo Strada Signorino se vedrete una processione di Etruschi saprete già dove porteranno il Cataletto.

Foto: Edicola affresco del miracolo

*Cultore del dialetto viterbese, conoscitore della cultura popolare

 

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