Federico Meschini… Che fai nella vita? “Regalo emozioni!”

di Sara Grassotti

Federico Meschini

Federico Meschini insegna Informatica umanistica, Editoria digitale e Digital storytelling all’Università degli studi della Tuscia. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Scienza del libro e della scrittura presso l’Università per Stranieri di Perugia, in cotutela con l’École normale supérieure di Parigi. I suoi interessi di ricerca si concentrano sui libri e le edizioni elettroniche, le biblioteche digitali e la rappresentazione della conoscenza. È stato visiting scholar alla Loyola University di Chicago e al Wittgenstein Archives dell’Università di Bergen.

Il prof. Federico Meschini è anche uno che oltre a regalare emozioni, come afferma, sa anche emozionarsi, è uno che ama i gatti e ha saputo creare una community per prendersene cura insieme a lui, che ama viaggiare, che ama unire alla sua materia razionale la spinta della sua anima, dei suoi colori.

Ricordiamo il suo intervento professionale a Medioera nell’esplicazione fluida della sua materia, ma lo rivediamo anche alla presentazione del libro di Rudy Guede al teatro San Leonardo moderatore attento insieme a Pierluigi Vito. Una narrazione che ha accompagnato in modo delicato l’autore, facendogli consegnare alla platea un messaggio importante:
Studiare aiuta ad informarsi su tutto e non prendere per buono quello che ci viene raccontato. Non crediamo agli ‘opinionisti della nostra mente’ ma crediamo ai fatti. Leggiamo, viaggiamo e abbiamo un pensiero critico sempre“. Ecco Federico Meschini sa aprire le menti altrui, toccando le corde giuste.

Ma chi è nella realtà? Proviamo a farcelo raccontare

Sono nato nell’aprile del 1974 a Reggio Calabria, ho 48 anni e appartengo perciò alla Generazione X; di conseguenza non posso essere chiamato Boomer. Vivo però praticamente da sempre a Viterbo, con una parentesi tra il 2006 e il 2010 in cui per motivi di studio ho vissuto in Inghilterra e negli Stati Uniti.

Quanto si sente viterbese e quanto la viterbesità è un punto di forza e un punto debole?

Di fatto sono viterbese in tutto e per tutto, però anche solo l’essere nato in un’altra città, avere delle origini altrove, ha sempre avuto come conseguenza la presenza di una dimensione altra, di un’alterità di fondo che ti spinge a vedere le cose da un punto di vista diverso. L’essere viterbese ha naturalmente i suoi pro e i suoi contro. Tra i primi metterei il pragmatismo e la schiettezza, e soprattutto il non farsi intimidire dalle situazioni più grandi di noi, fermamente convinti che in un modo o nell’altro si troverà una soluzione. Simmetricamente, quasi sempre i difetti della viterbesità sono un eccesso dei pregi. Secondo me i principali, ricollegandosi a ciò che è stato appena detto, sono una certa mancanza di consapevolezza della complessità, delle sfumature presenti in ogni situazione, e una fortissima impermeabilità al cambiamento e alle sollecitazioni esterne. Serve perciò una certa sensibilità in grado di permetterci di capire quando e come declinare efficacemente la viterbesità e quando no.

Come si comunica la cultura nell’era del digitale? Il gap generazionale ha creato una rinascita digitale?

La cultura da sempre si comunica tramite una o più tecnologie, vedi la scrittura o la stampa a caratteri mobili. Ma anche la voce nelle società orali: sulla base fisiologica si innesta un forte uso della téchne per aumentarne le capacità retorico-comunicative.  Quindi ogni scenario socioculturale è dato dal combinato disposto delle caratteristiche della tecnologia sottostante e delle pratiche che si sviluppano a partire da quest’ultima. Può sembrare controintuitivo, ma spesso per avere dei benefici è necessario andare in controtendenza rispetto agli aspetti fisiologici di una tecnologia. Ad esempio in uno scenario in cui le risorse culturali sono difficilmente reperibili o trasmettibili è necessario garantirne l’accesso e la disseminazione, compito che è stato assolto per secoli da istituzioni come biblioteche o archivi. Nel contesto attuale della cultura digitale in cui abbiamo una facilità enorme di produzione, duplicazione, trasmissione e frammentazione dell’informazione diventa fondamentale selezionare, contestualizzare e collegare. Ciò è ancora più vero per le nuove generazioni, la Z e la Alpha, per cui l’infosfera è l’habitat naturale. Abituati ad essere sempre collegati e a esprimersi intuitivamente con codici comunicativi diversi, tendono inevitabilmente verso il pensiero veloce. Va perciò riacquistata una consapevolezza del valore di ogni singolo linguaggio e, in particolare, della parola scritta, in quanto nelle sue forme più riflessive e argomentative tende verso il pensiero lento, componente fondamentale della società civile.

Il binomio innovativo tra informatica e scienze umanistiche connette due settori apparentemente molto distanti. Come coesistono?

 Anche in questo caso è necessario andare un po’ controcorrente, ed effettuare collegamenti a prima vista non intuitivi. In realtà informatica e scienze umanistiche hanno delle relazioni molto forti: le radici dell’informatica sono logiche e linguistiche, due discipline di confine tra scienze umane e scienze esatte. Si va così a colmare una frattura che esiste ormai da troppo tempo tra le due culture, mitigando altresì la tendenza all’iperspecializzazione, che se da un lato è necessaria, dall’altro restringe sempre di più il campo d’azione e cognitivo del singolo. L’informatica, soprattutto nella definizione in Italiano, si occupa dell’elaborazione automatica tramite linguaggi formali dell’informazione; quest’ultima è al cuore delle discipline umanistiche che hanno la loro ragione d’essere nell’analisi critica di informazioni polisemiche, che estendono continuamente le possibilità espressive dei linguaggi naturali. Da un punto di vista culturale e cognitivo, coniugare questi due aspetti è estremamente proficuo, oltre che stimolante.

I campi d’applicazione dell’informatica umanistica coinvolgono gli studi di linguistica, filologia, letteratura, storia, archeologia, storia delle arti figurative, musicologia, interazione uomo-macchina, biblioteconomia e il settore della didattica… L’esatta integrazione tra studi umanistici e nuove tecnologie apre al mondo del lavoro?

Una prima risposta posso darla basandomi sulla mia personale esperienza nel campo, ormai più che ventennale, ed è del tutto positiva. Come detto in precedenza, si vanno a creare delle figure trasversali in grado di unire “best of both worlds”, e soprattutto dotate di un approccio flessibile nella risoluzione dei problemi. Inoltre, l’informatica umanistica è fatta sì di àmbiti e di competenze specialistiche ma, data la pervasività dell’informazione digitale, trovano applicazione anche in contesti più generali, tra cui il digital journalism o la gestione dei contenuti sui social. Una conferma basata sui dati viene da un’indagine di AlmaLaurea, in base alla quale “I risultati ottenuti lasciano ipotizzare che il mix di competenze sia vincente per i laureati degli ambiti umanistici”.

L’università della Tuscia offre percorsi di studi all’avanguardia per specializzarsi nella materia?

Direi proprio di sì. In particolare, all’interno del Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo (DISUCOM), in cui sono strutturato, è presente una forte sensibilità verso queste tematiche. Sia nel corso di laurea triennale in Scienze umanistiche, la cui laurea magistrale di riferimento in Filologia moderna prevede un curriculum di Scienze delle lettere e della comunicazione multimediale, sia, a maggior ragione come si evince dai nomi, in quello di Comunicazione, tecnologie e culture digitali, e nella relativa magistrale in Informazione digitale.

Lo storytelling è l’arte di comunicare Se dovesse creare una storia su questo preciso momento che viviamo cosa racconterebbe per emozionare ed emozionarsi?

A dire il vero penso stiamo vivendo un momento fortemente emozionale, forse anche troppo. Se ciò non è un male di per sé, lo diventa se collegato ad altri fenomeni. Ecco quindi che abbiamo la polarizzazione o la disinformazione caratterizzanti i social media. Penso perciò ci sia bisogno di storie in grado di sviluppare e affinare sia la componente razionale sia quella empatica, presentandoci punti di vista eterogenei, senza dare giudizi assoluti, bensì analizzando in profondità le motivazioni e i contesti dei vari personaggi e dei relativi eventi.

In buona sostanza “Non ci può essere abilità di comunicare se non c’è una solida assimilazione di ciò che si deve comunicare”. Cicerone

gattini

 

 

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