Dario D’Ambrosio, capitano gialloblù: “Se nutri una passione nessuno potrà togliertela”

di Luciano Costantini

Le vacanze sono sacrosante per tutti. Figurarsi per chi ha faticato, sbuffato, sofferto per nove mesi, seminando sui campi di calcio di mezza Italia fino all’ultima stilla di sudore. Dario D’Ambrosio ha lasciato da qualche giorno Viterbo e si sta godendo il meritato riposo insieme alla famiglia, se possibile lontano dal pallone e dalle turbolenze che, seppure in sordina, arrivano sul futuro prossimo della Viterbese. Capitano coraggioso, Dario D’Ambrosio, del club gialloblù appena sfuggito alla retrocessione e al rovinoso capitombolo in D. La chiacchierata si consuma per telefono. Si intuisce di primo acchito che lui non avrebbe molta voglia di parlare, poi però si scioglie lentamente. L’uomo è tanto riservato quanto il calciatore è deciso ed esuberante sul terreno di gioco. Calcio, calcio, calcio. Questa passione, che abbiamo scoperto gli sia stata trasmessa dalla mamma, che ha giocato per diversi anni e doveva andare anche nella Nazionale femminile.

I numeri dicono che quella appena conclusa è stata una stagione straordinaria: 37 partite e 5 gol. Cifre da record. Il nostro capitano è nato a Caivano, popoloso Comune dell’hinterland di Napoli, 33 anni or sono, precisamente il 9 settembre 1988, ed è il fratello gemello di Danilo, da anni insostituibile jolly dell’Inter. Dario potrebbe scendere in campo al Meazza con la maglia a strisce nerazzurre al posto di Danilo e nessuno se ne accorgerebbe: stessa struttura fisica, stessi lineamenti del viso, stesso taglio di capelli, stesso ruolo di difensore centrale o esterno, stessa tecnica, stesso vizio del gol. Due gocce d’acqua, però percorsi professionali diversi: Danilo quattro anni a Torino in casacca granata e poi una vita all’Inter; Dario tante stagioni e tante maglie (quasi una decina), dalla Scafatese alla Viterbese, passando per Lecco, Triestina, Lumezzane, Lecce, Monza, Siena, Sambenedettese. Nella città dei Papi approda ad agosto dello scorso anno. Due anni di contratto.

La prima domanda è spontanea e pure banale: lei e Danilo, gemelli in tutto, ma una carriera diversa. Solo un gioco del destino?

“Be’ non esattamente. Ma in parte sì, perché abbiamo iniziato a tirare insieme i primi calci, poi a giocare sul serio. Io più tardi ho avuto diversi infortuni che mi hanno frenato. Ma ci può stare nel mondo del calcio come nella vita”.

Sente spesso suo fratello?

“Sì, sì, ci sentiamo molto spesso”.

E lo ha sentito anche domenica 22 maggio, dopo la vittoria del Milan in campionato?

“Certo l’ho sentito e chiaramente non era nella migliore situazione di spirito. Diciamo che era in uno stato d’animo tra il deluso e l’arrabbiato. Mi ha detto che certe cose fanno parte del gioco del calcio, ma di essere sicuro che l’anno prossimo ci sarà il tempo e il modo per rifarsi”.

Una determinazione che magari vale anche per lei e per la Viterbese al termine di un campionato di C certamente non esaltante. Come spiega il cammino della squadra?

“Abbiamo probabilmente risentito di un inizio di campionato problematico. Nel senso che speravamo in qualcosa di meglio, e così c’è stato uno sbandamento generale dal quale ci siamo ripresi lentamente, ma con forza. Qual è stato il momento più bello della stagione? Non ci crederà, ma le garantisco non è stato il giorno della salvezza, ma il mese di gennaio allorché tutti abbiamo cominciato a spingere sui remi per risalire la corrente. Uno sforzo collettivo della dirigenza, dei tecnici, dei compagni. Naturalmente i nostri tifosi sono stati determinanti. Direi che la città ha offerto un contribuito decisivo per raggiungere la salvezza”.

La città, appunto. Lei che è stato un giramondo, calcisticamente parlando, come si trova a Viterbo, a prescindere dal calcio?

“Ottimamente, lo dico con grande sincerità. In città si respira sempre e ovunque un’aria tranquilla che aiuta me nel lavoro e offre il meglio alla mia famiglia, cioè a mia moglie ai miei due bambini, che sono piccolissimi e hanno bisogno di crescere in un ambiente sereno”.

Immaginiamo un Dario D’Ambrosio tutto campo e casa…

“Be’ non esattamente. Vero mi piace molto stare in famiglia però ho fatto presto amicizia con tante persone. Per esempio, con i genitori degli altri bambini che vanno a scuola con i miei. Qualche volta prendiamo il gelato insieme. Con i compagni di squadra andiamo di tanto in tanto a farci una pizza. Insomma, io e i miei qui stiamo bene”.

Lei ha un contratto ancora per un altro anno, spera allora di restare o la rivedremo con un’altra maglia?

“No, no, io spero, voglio restare a Viterbo e indossare di nuovo la casacca gialloblù. Deve credermi, mi ci sono subito affezionato, così come mi sono affezionato a Viterbo”.

Sul futuro della società però incombono nubi piuttosto scure…

“Sono ottimista che tornerà il sereno. Ho avuto la fortuna di aver conosciuto il presidente Romano, è persona seria, affidabile, di grandi capacità manageriali. Sono certo che continuerà a lavorare per il bene della Viterbese”.

Allora arrivederci a luglio, allo stadio Enrico Rocchi.

“Ci sarò, parola di Dario D’Ambrosio”.

Dario D’Ambrosio con i piccoli tifosi gialloblù sulle gradinate della chiesa di S. Maria del Paradiso a Viterbo

 

 

Foto cover Massimo Luziatelli

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