Damiano Fabbri e l’arte del camminare nella Tuscia

di Paola Maruzzi

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Damiano Fabbri è un universo in continua, perenne e ostinata (seppur dolce) espansione. Un personaggio dai mille progetti che pare perdersi sovente in qualcosa di fumoso e impalpabile, fermo poi ripresentarsi 24 ore dopo con il più concreto dei risultati in tasca.

Nipote di Lucia Menicocci, la maestra da poco scomparsa nota a tutti per aver dato vita a un ricchissimo Erbario, Damiano vive a Villa San Giovanni in Tuscia, dove insieme a un gruppo di amici ha ideato prima il Cammino dei Tre Villaggi (noto come “il più piccolo d’Italia”, un anello di 20 chilometri che parte da Villa San Giovanni in Tuscia e attraversa Barbarano Romano e Blera) e poi il Terra e mare (da Villa San Giovanni in Tuscia a Civitavecchia). Educatore scolastico, suonatore di cajon, produttore di formaggio e intagliatore di legnetti, tra le altre cose.

Lo si può avvistare con facilità su strade secondarie e con un albero dentro lo zaino, da solo o assieme alla banda del Consorzio Camminatori Indipendenti, un collettivo di passi e di scrittura, una comunità di pratiche.

 

Che bilancio possiamo fare del Cammino dei Tre Villaggi a quattro anni dalla sua apertura?

Nato con l’intento di collegare un turismo di prossimità e lentezza al nostro territorio, a oggi possiamo dire con certezza che il bilancio di questo piccolo sogno è super positivo, per prima cosa perché abbiamo aperto gli occhi sulle infinte potenzialità legate a un paesaggio ricco di storia e cultura.

Tradotto in numeri?

Tra le soddisfazioni c’è quella di aver scalato, in poco tempo, le classifiche: nel 2024 siamo stati il terzo cammino più cercato nel portale che li raccoglie tutti. Sono oltre 8 mila coloro che hanno ritirato l’attestato del viandante etrusco, il pezzo di carta che sigla l’esperienza del Tre Villaggi. Il dato sorprendente è la varietà delle provenienze, dal Trentino alla Sicilia abbiamo accolto una platea altrettanto eterogenea, dalle famiglie con bambini alle comitive di ragazzi. Altro dato curioso è la prevalenza di donne.

Che ricadute economiche e sociali ha avuto sul territorio? 

Dolcemente e lentamente l’impatto del Cammino dei Tre Villaggi si è tradotto in sviluppo: bar chiusi hanno rialzato le saracinesche e sono nate strutture ricettive. Inoltre si è creata un’interessante rete di collaborazione tre le associazioni del territorio, le Pro Loco, i comuni di Blera, Barbarano e Villa San Giovanni in Tuscia, il Parco Regionale Marturanum e attori privati come il punto ristoro La Casina di Caiolo, l’area attrezzata a inizio percorso che si presenta come un vero e proprio piccolo rifugio a bassa quota. Molti giovani stanno capendo che l’offerta del turismo lento ha spazio per l’inventiva e l’imprenditorialità, in particolar modo nel settore dell’enogastronomia e dell’accoglienza.

Che tipo di lavoro c’è dietro le quinte di un cammino così frequentato?

A monte di tutto ci sono il monitoraggio ambientale e una costante manutenzione dei sentieri. Il focus rimane sempre il viandante, dunque dedichiamo molta cura alla parte informativa fornendo un quadro su eventuali criticità, dal meteo alle condizioni del percorso. Molta attenzione è riservata alla logistica, quindi al servizio di trasporto bagagli. Nell’ottica di migliorare l’esperienza, da un anno e mezzo a Villa San Giovanni in Tuscia è nato il Bivacco del Vagabondo, il primo bivacco Cai di bassa quota: oltre a porter usufruire dei bagni e delle docce, si può anche campeggiare. L’esperienza in tenda, replicabile anche a Barbarano Romano, rende ancora più suggestivo il Tre Villaggi.

Perché la scelta della parola villaggi e non paesi o borghi? 

Con gli altri membri di Stay Freedom, l’associazione che gestisce il cammino (Tiziano Fabbri, Pasquale Abate, Paolo Stefani, Valerio Gabrielli ed Elisabetta Di Marco, ndr) ci siamo detti che la parola villaggio riusciva ad evocare qualcosa di primordiale, che ha a che fare con la curiosità, con le bellezze naturalistiche da vivere in punta di piedi.

L'associzione Stay Freedom
L’associzione Stay Freedom

Sull’onda mediatica del turismo slow, quanto il successo dei Tre Villaggi è dovuto al tam tam dei social?

Seppure non ci sia stata una regia dall’alto e tutto sia avvenuto spontaneamente, dobbiamo molto alla diffusione di contenuti social da parte di video maker, influencer, guide escursionistiche e ambientali.

Non pensi che l’abitudine di rendere “instagrammabile” luoghi ed esperienze sia una forma di mercificazione del paesaggio?

In un certo senso sì ecco perché, al di là dell’iper esposizione social, abbiamo dato spazio a un racconto che meglio risponde all’immaginario del Tre Villaggi: si tratta de “La guida più piccola d’Italia del cammino più piccolo d’Italia” di Stefano Mecorio, una pubblicazione cha ha contribuito a far toccare e annusare la nostra realtà in modo diverso. Da qui è nata la collaborazione con il Consorzio dei Camminatori Indipendenti, un collettivo di passi e di scrittura che sta ripensando al modo di raccontare il paesaggio.

Molti ti conoscono come colui che cammina con gli alberi in spalla, da mettere a dimora in giro per la Tuscia. Come è nato il progetto, che spesso coinvolge scuole ed enti locali?

Quella che all’inizio sembrava un’idea folle si sta rivelando forte e concreta: ho voluto unire l’amicizia tra l’uomo e l’albero nell’arte del camminare. Insieme ai miei alberi, più di cento, ho percorso chilometri, condiviso esperienze. Li ho coccolati e accompagnati, ristabilendo un legame ancestrale.

L’eredità pubblica di tua nonna Lucia Menicocci, scomparsa da poco, è sotto gli occhi di tutti: l’Erbario a Villa San Giovanni in Tuscia, le sue pubblicazioni sulle erbe spontanee sono un patrimonio collettivo. In te cosa ha seminato?

A lei devo l’idea istintiva del mettere a dimora alberi. Mi ha insegnato ad aprire gli occhi verso la bellezza, la natura, i fiori. Con lei ho capito che ogni corsa serve. Ricordo i suoi occhi di commozione mentre accarezzava una margherita che poi ho ritrovato sulla mia guancia.

Lucia Menicocci

Dove immagini il tuo futuro?

In cammino con uno zaino, i sandali e un cappello di paglia.

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