Chiesa di San Sisto a Viterbo, la genesi della festa del santo

di Luciano Costantini

La chiesa di San Sisto di Viterbo è fin troppo nota per elencare le gemme custodite nel suo scrigno storico, artistico, culturale. Caldamente consigliabile una attenta visita. Certo meno nota è la genesi della festa del santo, con tanto di “luminaria” voluta da Papa Paolo III° Farnese e da suo nipote, il cardinale Alessandro il Giovane. San Sisto è tra i più antichi siti cittadini della cristianità medievale. E’ menzionato per la prima volta nell’XI° secolo, nasce probabilmente sulle fondamenta di un antico tempio romano dedicato a Venere o alla dea Fortuna. Diventa il fulcro di un agglomerato urbano, Vico Quinzano, formato da un triangolo, tra un ospedale oggi scomparso (più o meno presso l’attuale istituto scolastico Paolo Savi), la chiesa e il Palazzo di San Sisto, quest’ultimo per tanti decenni dimora prediletta di illustri prelati della corte papale. Nel corso dei secoli la chiesa viene sottoposta a diversi restyling, da ultimo nel dopoguerra a seguito dei terribili bombardamenti che l’hanno semidistrutta; oggi, nella sera del 3 settembre, accoglie i facchini di Santa Rosa che ricevono la benedizione in articulo mortis prima di iniziare il trasporto della macchina. Fin dai primi decenni della propria esistenza ospita numerosi oblati, cioè uomini che dedicano a Dio l’intera loro esistenza. Nel XV° secolo, sprofondate tra le mura castellane e la porta di San Sisto nella cripta sotto la tribuna della navata centrale, sono ancora ubicate diverse celle utilizzate per ospitare gli eremiti che, pur all’interno della città, dalla città rifuggono per dedicarsi a pratiche ascetiche. Chi invece predilige i piaceri mondani – non sono in molti i fortunati – può farlo a pochi metri di distanza dove si erge la canonica, cioè il palazzo di San Sisto, che da modesta residenza dell’arciprete si trasforma negli anni in buen retiro di cardinali al seguito del papa di turno. Per un periodo diventa anche sede della Curia del Patrimonio di San Pietro. Il cardinale Nicolò Fortiguerra da Pistoia, alla metà del Quattrocento, dà il via al rifacimento del Palazzo intanto cancellando le casupole che si affastellano disordinatamente sulla piazza antistante e poi rendendo più elegante e maestoso, l’edificio. All’interno fa allestire persino una villetta “con fonte, peschiera, aere da uccelli e lochi da animali e con giardino ameno e bello”. Il gioiello più prezioso del palazzo è una fontana di marmo bianco di Carrara, scolpita e dotata di 21 cannelle. Continuerà e dispensare acqua e ostentare bellezza fino al 1883 allorché gli amministratori del Conservatorio ne decreteranno la demolizione “qual vecchio rudere affatto inutile” e il piombo delle condutture sarà venduto per 18 lire. L’elenco di cardinali e prelati famosi che soggiornano nel Palazzo è lunghissimo. Tra i più famosi il porporato Alessandro Farnese che diventerà papa Paolo III° e il di lui nipote omonimo cardinale Alessandro il Giovane. Quest’ultimo, oltre ad aver pensato e fatto realizzare l’odierna via Cavour, vuole anche valorizzare il culto della chiesa e del santo che la rappresenta. Così in data 3 agosto 1535 scrive al vescovo di Sora, in quel tempo governatore di Viterbo, affinché si adoperi per proclamare solennemente la festa di San Sisto e fissarla negli Statuti. Alessandro, per essere più convincente, sottolinea come non soltanto questo sia il desiderio del Papa (eletto da appena 10 mesi), ma che lo stesso pontefice abbia concesso, tanto per cominciare, l’indulgenza plenaria a tutti coloro che parteciperanno alla prima festa di San Sisto. Eh sì perché sarà una festa grande, con tanto di “luminaria” come sollecitato dall’illustre cardinale. Trascorre poco più di un mese e mezzo e il Consiglio Comunale, in data 21 settembre 1535, vara con rara rapidità la delibera che stabilisce tempi e modi di svolgimento della “luminaria”: pubblica processione con obbligo di presenza per tutti i membri delle Corporazioni delle Arti della città, nessuna esclusa; i partecipanti devono camminare con un cero acceso in mano. Al termine del corteo i ceri, o quel che resta di essi, vengono lasciati come oblazione alla chiesa. Ed è una grande risorsa, una entrata annuale sulla quale contare, grazie al cardinale Alessandro il Giovane e al di lui nonno Paolo III°.

 

Luciano Costantini

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Nato a Fabrica di Roma, una carriera giornalistica iniziata nei lontani anni ’70 alla redazione di Viterbo de Il Messaggero, poi un lungo percorso come vice capo servizio  alla redazione centrale dell’Economico della stessa testata. Ritornato a  Viterbo ha ripreso in mano le proprie radici e  la sua passione per la storia, argomento di punta di questa testata di cui dal luglio 2018 è il direttore editoriale.

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