Solo i più anziani se la ricorderanno. Chi? Giovanna Pannega, nata a Ischia di Castro nel 1890 e morta a Viterbo nel 1974, nota però a tutti col nomignolo della Caterinaccia. Una donna emarginata e sfortunata, che crebbe suo figlio Alfio sì nella miseria, ma anche nella più assoluta dignità. Di lei è rimasto famoso un episodio, avvenuto nei primi anni del ‘900, davanti al teatro dell’Unione, dove la donna, per raccattare qualche soldo, vendeva violette agli spettatori che uscivano dopo lo spettacolo.
Si narra che le si avvicinò la moglie del prefetto, la quale – di fronte a quei fiorellini – esclamò: “Ma queste violette puzzano!”. E la Caterinaccia di rimando: “Er c…. tuo puzza!”. Un’espressione che la consacrò personaggio popolare, donna, madre, simbolo di forza, schiettezza e libertà di espressione e di pensiero. Un simbolo rimasto inalterato negli anni, tramandato di padre in figlio nell’aneddotica viterbese.
Ebbene, questo simbolo è stato adottato dall’associazione Kyanos, un’organizzazione attiva dal 2016, che si occupa di discriminazione e di violenza di genere. E che, grazie alla vincita di un bando regionale, ha potuto fondare un centro culturale cui è stato dato proprio il nome della Caterinaccia.
“Un nome – racconta Marta Nori, presidente del circolo – che si addice a tutte le donne che vengono qui, o perché sono emarginate, o per la loro voglia di emergere. Insomma, questo posto è frutto di un desiderio maturato con molta consapevolezza, quando ci siamo rese conto che ci fosse bisogno di un posto di aggregazione al femminile, anche se è aperto anche gli uomini. Un sogno – prosegue la Nori – che piano piano si sta realizzando, anche grazie all’aiuto di molte ragazze giovani, che hanno voluto aiutarci in maniera volontaria”.
La frequentazione del centro è molto trasversale: dalla donna straniera che qui è sola e vorrebbe fare un corso di italiano a chi ha semplicemente voglia di aggregazione e di cimentarsi in una delle variegate attività che vi si svolgono. “Abbiamo diversi laboratori già attivi – prosegue Marta Nori – dallo yoga, alla biblioterapia, dalla ginnastica posturale e bioenergetica alla ceramica e alla fotografia. Ma quello che più ci conforta è il fatto che tutto ciò serve soprattutto ad amalgamare le persone e ad inserire quelle straniere nelle società viterbese. Anche la scelta di insediarci nel quartiere di San Faustino non è stata dettata dal nulla. Questo posto lo abbiamo proprio cercato, giacché San Faustino fa paura al viterbese, ma è un quartiere che va rivalutato. E tante persone in queste vie non ci avrebbero mai messo piede se non ci fosse stato questo centro”.
Il discorso si sposta poi sul drammatico tema della violenza alle donne. “Qui – dice la Nori – in genere arrivano donne che sono state prese in carico dal Centro antiviolenza, ma che hanno già effettuato un percorso che permette loro di fare certe cose”. Inutile chiedere i numeri delle vittime, ma la presidente un po’ si sbilancia: “In un anno le schede aperte sono tantissime”.
Poi prosegue: “Tra le varie attività del centro sono previste anche lezioni sulle discriminazioni, sui pregiudizi e sulle violenze di genere. Ad esempio abbiamo scoperto che molte donne, anche di livello culturale tutt’altro che basso, sanno poco o nulla nel campo dei loro diritti nel mondo del lavoro. Per questo abbiamo organizzato una serie di appuntamenti col sindacato Usb per parlare appositamente dell’argomento. E’ venuto fuori che molte di loro non sapevano neppure che esiste il contratto collettivo nazionale, oppure non sapevano leggere la propria busta paga”.
Insomma, la Caterinaccia rivive. Attraverso questo gruppo di donne coraggiose che fondano tutto il loro impegno sulla speranza. “La speranza di migliorare – conclude Marta Nori – è il nostro carburante. E’ quella che ci dà la forza di proseguire. Senza dubbi o tentennamenti”.



























