Metti uno spicchio di mattinata in una stanza della Curia Vescovile, temperatura infernale che giustificherebbe tutte le imprecazioni contenute in un dizionario se non si rischiasse di violare il rispetto che si deve al luogo, venti metri dal palazzo dei Papi, non più di cinquanta dalla cattedrale di san Lorenzo. Una chiacchierata a trecentosessanta gradi, che non sono ovviamente quelli del termometro, con monsignor Orazio Francesco Piazza, nato a Solopaca, già presule della Diocesi di Sessa Aurunca, spiccate competenze in teologia, impegnato nel volontariato e nel sociale, determinazione inscalfibile: “Io sono un sannita autentico” scandisce.
Eccellenza, il 7 ottobre del 2022 è stato nominato da Papa Francesco vescovo di Viterbo, il 3 dicembre ha preso possesso della Diocesi. In quella occasione affermò: datemi tre mesi per capire e giudicare dove sono arrivato. A distanza di oltre due anni e mezzo, si è fatto un’idea?
“Il riferimento ai tre mesi, era necessario per sedimentare bene il passaggio tra una chiesa locale ad un’altra. Un passaggio molto sentito perché profondamente legato a nove anni di lavoro e di condivisione della vita. Da lì è iniziato un cammino intenso e ininterrotto sul territorio per conoscere una realtà per me totalmente nuova e al primo impatto certamente affascinante e coinvolgente”.
Magari anche scoraggiante?
“Non ho mai usato questo termine nella mia vita perché sono una persona costruttiva e propositiva. Meglio parlare di difficoltà, non di scoraggiamenti. Le difficoltà esistono nella realtà di ogni vita, lo scoraggiamento può essere una scelta personale nell’affrontarle. Non certamente nel mio caso. Dopo quasi tre anni non mi sento affatto scoraggiato, ma ancor più motivato, più attento, più lucido, rispetto a una realtà che ha straordinarie potenzialità, ma che deve essere sostenuta criticamente in alcuni processi”.
Parliamo prima delle potenzialità.
“Il territorio ha una natura esuberante, bellissima, in un contesto sociale e culturale significativo. Serve un processo culturale ed economico per essere sempre più sostenuto al fine di valorizzare la filiera tra natura, cultura e storia. Un territorio che è sempre più cercato e apprezzato. In questi anni ho potuto conoscere e constatare come tantissime persone hanno manifestato il desiderio di vedere Viterbo e la Tuscia”.
E lei conosceva Viterbo e la Tuscia?
“Non c’ero mai stato, se non trenta anni fa con mio fratello, allorché ebbi modo di visitare in modo veloce Bomarzo, Vitorchiano, Civita di Bagnoregio, Sutri e Nepi”.
Immaginava di diventare vescovo di Viterbo?
“Assolutamente no. Non era nelle mie previsioni o aspettative. Credevo di poter concludere il mio percorso pastorale in Campania”.
Le vie del Signore sono infinite…
“E’ proprio così. Ma assicuro che nell’accogliere la volontà del Santo Padre, il mio impegno è stato fin dall’inizio intenso e autentico, mirato a calarmi in questa realtà che ora mi apparteneva totalmente e vedere come essere di aiuto”.
Ha individuato anche le emergenze?
“Mi pongo una semplice domanda: perché si sprecano tante energie tra contrapposizioni e frammentazioni senza impegnare tutte le energie per trovare vie di uscita alle varie urgenze o emergenze? La dinamica ecclesiale e sociale è stata chiara fin dall’inizio: sono andato negli ambienti di lavoro, ho incontrato il mondo delle imprese e quello dei contesti culturali. Poi, ovviamente, ho cominciato a fare sintesi per vedere come orientare le nostre energie ecclesiali e generare sentieri opportuni nel territorio. Dico nostre perché mi considero viterbese. Mi chiedeva delle criticità. Una di esse è certamente la frammentazione del territorio, che per storia, è abituato a tutelare la propria autoreferenzialità. Ogni borgo, ogni comune cinto da mura, vive al suo interno in una singolare e motivata difesa di un contesto di vita. Affermo però che ogni campanile è importante, ma è altrettanto fondamentale tessere una rete di fili, di collaborazione, che collega tutti i campanili. Nell’armonizzare le differenze non si perdono identità e storia. Con le crisi di questo periodo, sociale, economica, culturale, credo che l’autoreferenzialità e la condizione di chiusura, che momentaneamente sembrano dare una certa sicurezza, di fatto non sono adeguate a risolvere le urgenze di oggi dovute a spopolamento e invecchiamento dei nostri borghi”.
Cosa può fare il vescovo?
“Dopo aver valorizzato le collaborazioni parrocchiali nelle foranie, ho avviato incontri condivisi con i sindaci afferenti alle varie foranie: è già avvenuto con quelli della forania di Acquapendente e di Bagnoregio. Sono stati incontri produttivi e carichi di attese positive di collaborazione tra realtà ecclesiale e civile. Vedrò a breve gli altri nelle restanti foranie di Tuscania e Montefiascone, Vetralla e Viterbo. Spero in una concreta e realistica sinergia tra la comunità ecclesiale e quella civile per affrontare problemi comuni nella prospettiva di fare il bene di tutti”.
Un’apertura che offre nuova luce. Quella che lei metaforicamente ma in senso letterale ha invocato per la cattedrale di San Lorenzo.
“Assolutamente sì. L’immagine della chiesa aperta, solare, riconoscibile diventa riduzione dell’ombra e possibilità di dialogo con le situazioni territoriali: economica, ambientale, culturale. Tre dinamiche assolutamente forti”.
Lei è stato sempre molto attento al sociale. Ha creato il Centro Studi Sociali Bachelet per la formazione dei giovani. Ha condannato in passato gli scontri a Mondragone tra comunità italiana e straniera. A Viterbo c’è un disagio sociale?
“A Mondragone ci sono implicazioni molto più forti dovute alla presenza della criminalità organizzata e ad alcune derive sociali molto gravi: lì abbiamo cercato risposte con delle attività di volontariato e di economia sociale. Anche qui ci sono problematiche, anche se dettate da motivazioni diverse, che chiedono risposte, non solo per l’immigrazione. A livello di accoglienza, per esempio, si avvia l’opportunità per gli immigrati di fede cattolica di avere una celebrazione in lingua e momenti di incontro, appunto per potersi sentirsi parte viva in una comunità. Come sono costanti i momenti di dialogo e di confronto con i contesti di immigrazione di altre confessioni religiose. Per tutti loro, e non solo, è necessaria la nostra comune attenzione nel sostenerne dignità umana e opportunità di poter vivere qualitativamente il lavoro”.
Vogliamo parlare dei giovani?
“Il dramma è che malgrado abbiamo una bella ed efficiente università, c’è la fuga di tanti giovani verso altri atenei e realtà lavorative. Per garantirne la permanenza è necessario studiare filiere economiche e culturali che possano garantire il loro futuro”.
I giovani se ne vanno e il centro storico si spopola.
“Nel recente incontro sull’urbanistica ho avuto modo di poter esprimere il mio pensiero sulla riqualificazione di piazza san Lorenzo e l’accesso alla cattedrale e così abbattere le barriere architettoniche. In quella occasione ho posto in evidenza anche il problema della esuberanza di supermercati, luoghi anonimi, e la riduzione delle botteghe del centro, luoghi di riconoscibilità umana e sociale. In questo processo si presenta anche una emergenza sociologica: non si insediano giovani famiglie, gli anziani vivono nel disagio, molti lughi perdono vitalità e la vita del centro si spegne”.
Stop a nuovi supermercati?
“Si dovrebbe bilanciare il rapporto tra grande distribuzione e piccolo commercio per garantire la vitalità degli ambienti. Lo spostamento fisico delle persone fuori del centro porta inevitabilmente alla sua morte, sia a livello abitativo che di servizi. Viterbo non può diventare una città da visitare come un museo diffuso: senza persone la città non vive. Il centro potrebbe organizzarsi con un polo commerciale al suo interno, in una rete organica tra i diversi operatori”. La varietà dei negozi che si trovano nei centri commerciali non potrebbe essere anche prodotta e sostenuta con una varietà organizzata nel centro della città? Sarebbe una scelta che potrebbe produrre un notevole indotto a vari livelli.
E le associazioni cosa fanno o non fanno?
“A Viterbo ce ne sono tante, ma difficilmente collaborano tra loro. Se non colleghiamo i campanili tra loro, potrà certamente suonare ogni campana, ma non sarà mai un concerto. Se non si collabora con tutti gli altri anche una ricchezza diventa povertà”.
Lei recentemente ha parlato di riqualificazione della cattedrale di san Lorenzo e della piazza. Qual è il progetto?
“C’era e c’è indubbiamente disagio per le persone di diversa abilità ad accedere alla Chiesa, c’è chi ora è costretto a passare attraverso il giardino, il museo, o attraverso una pedana allestita per alcune celebrazioni. Certamente è necessario arrivare ad una possibilità stabile e condivisa. Inoltre, mi trovo a verificare una situazione paradossale a livello ecclesiale: la Cattedrale è dedicata a San Lorenzo, è patrono della Diocesi, ma non è ordinariamente visibile la cappella della sua gloria e non lo si festeggia. Come se mettessimo la fotografia di una persona cara in un cassetto, non più visibile: con il tempo rischiamo di dimenticarla. Mi domando, come può una comunità che ha come protettore san Lorenzo, non avere la possibilità di guardarlo e invocarne l’intercessione? È necessario riacquisirne l’immagine, come segno di presenza, e ristabilirne il legame vivo e vitale con la Comunità. Mi impegno certamente a riqualificare la figura di questo santo. Come? Dovrà studiare, con le competenze necessarie, il modo. Ma torniamo alla piazza e al sagrato della cattedrale: si è aperto un dialogo con l’amministrazione comunale per produrre un bando mirato a ridisegnare l’area compresa tra la piazza e il sagrato. I tempi saranno brevi. Il bando sarà internazionale perché la città ha rilevanza internazionale, basti ricordare solo la varietà di troupes televisive qui giunte per il Conclave. Il Comune di Lisbona, nel sottolineare l’importanza della nuova collocazione del monumento sepolcrale di Papa Giovanni XXI° nella Cappella di san Filippo, si impegnerà a renderla meta di visita tra gli itinerari culturali proposti che includono la Tuscia e Viterbo”.
Altre iniziative?
“L’abbattimento delle barriere architettoniche e accessibilità ai siti del Palazzo Papale dovrebbe riguardare anche il salone del Conclave. Bisogna studiare una soluzione. È sempre necessario tentare di rispondere a un problema: come farlo? Questo è da ricercare nella intelligenza creativa di persone competenti e responsabili del valore di questi luoghi. Rammendo a me e a tutti che il valore e il senso simbolico dei luoghi devono essere preservati e valorizzati: mai snaturati. Per quanto riguarda questi impegni e ogni altro impegno, ecclesiale e sociale, spenderò ogni energia decisamente mirata a dare consistenza ad un bene comune da amare, condividere e promuovere. Senza remore o riserve”.

Il Vescovo alla inaugurazione della mostra Omaggio a Santa Rosa al Santuario

S.E. Monsignor Piazza con la delegazione Portoghese in occasione della nuova sepoltura di Papa Giovanni XXI°

























