Fernando Selvaggini, Nando per gli amici. Dopo circa un’ora di frizzante chiacchierata, confessiamo con timida presunzione di avergli trovato un bel sostantivo da accompagnare al nome: “Il collezionista”. Banale? Mica tanto, perché Nando nel suo lungo scorrere degli anni, ne conta 87, ha messo insieme tanti pezzi, e pezzettini, dello scibile e del manufatto umano: francobolli, monete, libri, cartoline, mini assegni, lettere, depliant pubblicitari, matite, penne, etichette, persino incarti di arance. E sarebbe, dunque, riduttivo oltre che ingiusto ingabbiarlo come semplice “collezionista di…”. Magari “compulsivo”? “No, assolutamente” – replica netto, non risentito – mi è sempre piaciuto raccogliere un po’ di tutto di quello che il passato ci ha lasciato in eredità. Che è storia. Con un solo perimetro, si tratta solo ed esclusivamente di ricordi viterbesi e della nostra provincia. L’ho fatto per autentico amore di questa terra. E poi, parliamoci chiaro, non sarei mai riuscito a coprire tutto il Paese”.
Viterbese doc, mezzo secolo a gestire un negozio da collezionista. Ovviamente. “E ottanta anni – sottolinea – da lupetto e poi da boy scout. Tanto per intenderci, fin dai tempi del mitico Mino Casciani”. Oggi Nando Selvaggini è presidente onorario del circolo del collezionismo “Il Profferlo”, tre anni di vita, presidente Luciano Dore, 65 soci, 20 euro all’anno per associato, 10 per i familiari. Sede? “Vacante, dopo essere stati costretti a lasciare quella dell’Ordine di Malta a piazza Verdi. Dove ci riuniamo? Talvolta al bar. Generalmente nei sei mesi invernali nella sede della Fondazione Carivit a palazzo Brugiotti, d’estate nella chiesa di San Giacomo in via Saffi”.
Cominciamo dal nome dell’associazione “Il Profferlo”. Come nasce?
“Dal mio negozio, dove trattavo filatelia, numismatica e libri, solo di interesse locale, Viterbo e i sessanta comuni della Tuscia. Mezzo secolo di attività, dal ’67 al 2017, quando ho dovuto lasciare per un maledetto problema fisico. Allora, insieme ad un amico, abbiamo pensato di invitare tanti collezionisti e dar vita a un club di appassionati”.
E quando e come spunta la passione per il collezionismo?
“A sette anni sono diventato lupetto, a otto mi hanno dato la specialità di collezionista perché nel dopoguerra si poteva raccogliere poco e niente, ma io riuscii ugualmente a recuperare tantissime cartoline di tutta Italia, ne riempii tre album. A quindici ho avuto la specialità di filatelista. Attenzione, sono ancora un lupetto e l’anno prossimo, Dio volendo, festeggerò ottanta anni di scoutismo. Ci tengo molto”.
Non ha fatto però il collezionista tutta la vita…
“Be’ no. A diciannove anni ho iniziato ad aiutare mio padre al bar. Ci sono stato fino ai 29. Papà, quando andò in pensione, mi diede le chiavi, io lo ringraziai ma gli dissi che avevo un’altra idea, fare il collezionista perchè volevo vivere l’intera mia esistenza in mezzo alle collezioni. E così ho fatto iniziando con un negozio in via del Suffragio, poi in via Matteotti, infine in via della Cava. Sono stati anni bellissimi. Avevo finalmente realizzato il mio sogno”.
La filatelia è sempre passione assai diffusa. Ci dica un socio che colleziona qualcosa di singolare se non unico?
“Come no? Per esempio c’è chi continua a raccogliere le bustine di zucchero. Ne ha messe da parte 80.000, forse anche di più”.
Poi evidentemente ci sono pezzi assai più preziosi.
“Certo che sì. Un esempio, la Storia di Viterbo del Bussi del 1742, ventiquattro stampe, va dai 4.000 ai 20.000 euro. Io in cinquanta anni non ne ho venduti più di venti. Poi le monete da 500 lire con veliero e vessillo contro vento. Furono coniate per prova, 1.050 pezzi, donati all’allora ministro del Tesoro, Emilio Colombo, a vari deputati e rari funzionari. Sono in tanti a dire di averle, ma così non è. Altrimenti sarebbero stati cinquanta milioni di pezzi”.
Oltre a cartoline, francobolli, monete, libri cosa ha raccolto in tanti anni Nando Selvaggini?
“Etichette di bottiglie di vini della provincia di Viterbo. Ditte che non ci sono più come Bottonelli e Lorenzini del 1800. Matite delle Ferrovie dello Stato del 1950. I calendari tascabili semestrini. Io ho quelli dal 1868, fatti a mano. Poi sono arrivati quelli profumati e con le donne nude. Di questi ultimi ne ho esemplari dal 1905 in avanti. Mi piacciono tanto le cartoline, ne conservo da fine ottocento alla prima guerra mondiale. Alcune, dietro al francobollo, nascondevano parole scritte magari all’amato o all’amante…rispondimi infame…non ho ricevuto tutto…so che te la fai con quella poi faremo i conti… Eccetera”.
All’alba degli ottantasette anni colleziona ancora qualcosa?
“Di tutto un po’. Cerco di aiutare a sistemare le collezioni degli amici”.
Qualche cliente famoso…
“Giulio Andreotti. Collezionava francobolli di antichi Stati italiani”.
Un aneddoto…
“Un piccolo peccato, lo chiamerei. In passato talvolta spedivo all’estero, che so in Egitto, in Urss, in Grecia, una raccomandata con ricevuta di ritorno e il nome del mittente farlocco, per esempio Henry Papillon, e dopo più o meno un mese mi arrivava puntualmente la cartolina delle Poste di quel Paese per segnalarmi che il destinatario non era stato trovato o era deceduto. Io però, in compenso, avevo ottenuto tanti timbri impressi sulla cartolina di ritorno. In un caso ho ricevuto anche un piccolo verbale di accompagnamento. Anche questo è un modo di collezionare e divertirsi”.
Passato, ma anche presente se è vero che Nando non ha perduto il vizio di raccogliere cimeli sempre interessanti. A fine chiacchierata mostra un quaderno. Prima pagina con alcuni vecchi proverbi riportati di sua mano: “Viterbo città dello sconforto: o piove, o tira vento, o sona a morto”, “Bolsena gente acquatica, poco pratica”, “Acquapendente pane bono e cattiva gente”, “Sutri antica ce poi sta cent’anni non te farai mai un amico”, “Montefiascone paese delle streghe in dove si va si vede”, “Onano so’ tutte stupide, pensa che p‘annà a Roma passano per Siena”.

























