Gli ultimi in prima pagina: Daniele Camilli firma una nuova avventura

di Paola Maruzzi

Daniele Camilli-ILT

Firma storica del quotidiano Tusciaweb, dove ha militato per dieci anni fino alla recente uscita di scena, Daniele Camilli rimane uno dei volti più noti dell’affollato panorama del giornalismo viterbese. Tra cronache, conferenze ingessate e i mille salti rocamboleschi a cui costringe un mondo dell’informazione indissolubilmente precario di certezze, si è saputo ricavare uno spazio di manovra da battitore libero, spingendosi – in alcuni casi a proprio rischio e pericolo – verso contesti sociali marginali.

Nel 2018 la sua inchiesta sulla condizione dei braccianti a Castel d’Asso finisce sulle pagine nazionali di Repubblica, contribuendo a sollevare il caso alle forze dell’ordine e sui tavoli istituzionali locali. Tra reportage e presidi, si apre per lui una nuova pagina professionale in veste di segretario organizzativo della Uila Lega comunale di Viterbo, una sfida ancora tutta da scrivere. E mentre l’espressione “salotti buoni” rimbalza nella calda estate viterbese e sulle testate locali per infiocchettare eventi enogastronomici e nuove aperture nel centro città, Camilli – sposato con una cittadina bengalese che fa la mediatrice culturale e padre di Aisha e Afiyah – ci porta nel cuore della Viterbo multietnica, delle comunità internazionali, che piega la schiena al sole, invitandoci a guardarla in termini di forza lavoro, di energia nuova.

Parlaci della tua formazione e del tuo background professionale.

Sono laureato in Scienze politiche alla Sapienza con il sogno di fare il ricercatore nel campo delle politiche sociali. Sin da ragazzo ho battuto la strada dell’impegno politico come parte attiva nei movimenti che negli anni Novanta hanno portato al G8 di Genova. Ho approcciato il mondo del giornalismo e della comunicazione politica grazie a un incarico da addetto stampa dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio, negli anni della giunta Marrazzo. Successivamente sono stato il portavoce di alcuni personaggi, dal premio Nobel per la Pace Riccardo Valentini a Rudy Guede. Dopo quindici anni a Roma ho deciso di ritornare nella Tuscia, una scelta di cui non mi sono mai pentito.

Cosa ti ha regalato l’esperienza decennale con Tusciaweb?

Una professione e la conoscenza capillare del territorio in tutti i suoi aspetti politico-sociali. Devo molto a Carlo Galeotti, mi ha destrutturato e ricostruito, stimolato e lasciato una grande libertà. È stato un maestro. Di lui conservo infine il profondo rispetto deontologico per la professione giornalistica.

Ti è pesato appendere la penna al chiodo?

Il giornalismo non mi manca, quello che sto facendo all’interno della Uila è un passo in avanti nel mio percorso umano e professionale. Ho sempre concepito la vita lavorativa al servizio di un soggetto sociale ben preciso. Lavorare per me significa militanza, difesa dei valori costituzionali e della giustizia sociale.

In Italia parlare di carriera giornalistica è un ossimoro, il “bracciantato intellettuale” di tante redazioni è alla luce del sole e non fa più notizia. Cosa ne pensi?

Concordo, tanti redattori al servizio di importanti testate sono pagati meno di un bracciante agricolo ma con la grande differenza che fanno meno fatica. Non dimentichiamo che i lavori intellettuali hanno sempre un risvolto di gratificazione. Tornando al contesto locale c’è da dire che fare carriera giornalistica a Viterbo è difficile, mancano i soldi per i contratti perché la nostra è una provincia povera di investimenti pubblicitari. La responsabilità non è quindi dei direttori o degli editori. Eppure, nonostante le difficoltà, possiamo contare su tante testate, ognuna ha la sua dignità: ogni collega cerca di fare il suo lavoro al meglio e questo è fondamentale.

Com’è cambiato il mondo bracciantile nel viterbese?

Ho iniziato a raccogliere le testimonianze dei braccianti nel 2018: con una dose di incoscienza, in sella al mio scooter, mi sono diretto a Castel d’Asso per fotografe le condizioni di lavoro dei braccianti. Oggi il quadro è notevolmente migliorato: i braccianti sono diventati protagonisti della vita politica sindacale e cittadina, sono in prima linea quando si tratta di avanzare richieste, come quella della garanzia di trasporti pubblici, un tema caldo di cui avremo novità a breve. Oggi si ragiona non solo sulle condizioni salariali ma sulla dignità a tutto tondo del bracciante, a cominciare dai tempi di vita e dal contesto sociale. In questa direzione va l’iniziativa dell’Università dei braccianti che ha il duplice obiettivo di rivolgersi sia agli operai agricoli, offrendo con corsi di italiano, che a tutta la cittadinanza, attraverso una serie di lectio magistralis su argomenti di varia natura.

Oltre ai trasporti, cos’è prioritario per i braccianti di Castel d’Asso?

Trovare abitazioni in affitto e vivere in case dignitose. A molti operai agricoli vengono negati affitti perché sono africani o asiatici. Grande attenzione è inoltre rivolta all’urgenza di snellire le tante pratiche burocratiche, dai permessi di soggiorno ai ricongiungimenti, che rischiano di diventare un percorso a ostacoli per i lavoratori. Crediamo anche che sia necessario costruire un fronte comune tra sindacati e organizzazioni datoriali per affrontare meglio problematiche comuni come quelle, tanto per citarne alcune, della grande distribuzione, della burocrazia legata ai permessi di soggiorno, del deposito di scorie nucleari nella Tuscia e dell’ordinanza caldo.

In tema di immigrazione, nel 2017 campeggiava in città la campagna di Viterbo 2020, il movimento civico guidato da Chiara Frontini, con la scritta “Viterbo non è un albergo”. È un ricordo lontano o uno spot ancora attuale?

Riletto oggi sembra che quel manifesto non l’abbia fatto Chiara Frontini. Tutte le istituzioni, dal Comune alla Prefettura, sono sensibili alla questione bracciantile. Nei tavoli di discussione non si limitano ad ascoltare ma fanno proposte attive. C’è una grande apertura e voglia di dialogare per trovare soluzioni concrete.

Oltre al dovere di cronaca e alla tua militanza nel sindacato, a cosa è dovuta la tua vicinanza verso chi si suda il salario?

I braccianti sono il mio mondo, il mondo dove sono nato, cresciuto, dove ho vissuto. Vengo da generazioni di braccianti e sono figlio di un operaio e di una donna delle pulizie. Il mio percorso di studi e le scelte professionali sono state occasioni per mettermi a servizio del mondo a cui appartengo.

Coltivi la passione della fotografia: nel tuo profilo Instagram (@link_antropo) mostri la naturalezza del fenomeno migratorio a Viterbo, rendendolo familiare, amico. È così?

La fotografia nasce parallelamente alla mia attività di giornalista che mi ha permesso di avere un osservatorio privilegiato sulla città. Nei volti che fotografo cerco di cogliere la consapevolezza dei nuovi soggetti sociali. Viterbo è in trasformazione, il 10% dei residenti è figlio delle comunità internazionali che rappresentano il 90% degli operai agricoli: una forza imponente. In occasione della festa musulmana del Sacrificio molte aziende agricole si sono dovute fermare perché, per la prima volta nella storia della Tuscia, i braccianti si sono avvalsi del permesso di lavoro retribuito per le festività non cattoliche. Una conquista dell’ultimo contratto provinciale di lavoro degli operai agricoli firmato da Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Lega comunale di Viterbo.

Come appare Viterbo agli occhi delle tue bimbe?

Appare loro come una città fatta di belle persone, solidale e caratterizzata da un’identità forte e aperta al futuro.

 

Foto in alto: Viterbo piazza San Faustino

Foto in basso: Viterbo Santa Rosa il mini facchino

Autore: Daniele Camilli

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