Tre grandi camerate in desolante abbandono con il tetto sfondato e sette secoli di storia. È’ la Domus Dei, poco fuori porta Romana all’inizio della via Cimina, uno dei primi hospitali della Viterbo inizi Trecento, certamente il più grande e più ricco, costruito all’indomani della lunga presenza in città della sede pontificia. Se ne è parlato in riunioni e quotidiani online e cartacei (anche in questa testata di TusciaUp) con la speranza di suscitare attenzioni che non sono però mai arrivate. E pensare che quella struttura è stata un pilastro di solidarietà sociale, avendo accudito schiere di malati, poveri e pellegrini, quando l’assistenza e l’accoglienza erano in mano a monasteri, confraternite e soprattutto a singoli benefattori.
Ne riparliamo poiché c’è oggi aria di ripresa, dopo anni di silenzi, sui lavori di ristrutturazione dell’antistante chiesa di santa Maria in Gradi, di cui faceva parte, annessa all’ex convento dei Domenicani, attualmente sede del Rettorato e di alcuni Dipartimenti dell’Università della Tuscia. L’hospitale era infatti molto legato alle vicende del complesso monastico già dagli anni della sua costruzione, nel 1303, che avvenne con il sostegno morale dell’abate e i soldi del capitano del popolo Visconte Gatti e di sua moglie Teodora Capocci, come ricordano una lapide e un bassorilievo marmoreo ove sono raffigurati i due benefattori insieme alla Madonna col Bambino, oggi al Museo Civico di Viterbo. Il terreno, con casale e orto, era stato donato in redenzione di qualche peccato di troppo da Manfredi e Pietro Di Vico jr.
In quegli ampi spazi formato corsia disposti su tre livelli, con pareti percorsi da dipinti murari oggi illeggibili se ne stavano allineati modesti giacigli, accanto a una sala di refezione per una scodella di minestra, un minimo di servizi igienici e rudimentali attrezzature per la cura dei malati. Il tutto al riparo dal freddo, da animali selvatici e malfattori.
La struttura, in diretto collegamento con la chiesa di Santa Maria in Gradi, assicurava anche una funzione strategica di controllo sulla via per Roma e metteva in condizione i frati di meglio operare nella carità e nell’assistenza. Non solo, ma dava loro la possibilità di animare il borgo che nel frattempo stava nascendo intorno al convento, con buoni riscontri anche per le coltivazioni agricole.
L’hospitale esercitò la sua funzione di cura fino alla metà del Cinquecento, quando le piccole ed analoghe strutture sparse in città (se ne contavano già una ventina) vennero riunite in un unico complesso sul colle del Duomo, conosciuto a Viterbo come Ospedale Grande degli Infermi. Da allora la Domus Dei si limitò solo all’accoglienza dei pellegrini e dei poveri, anche se nell’epidemia di colera del 1837 tornò ad esercitare funzioni di assistenza come lazzaretto.
Nel corso dei secoli l’edificio fu sottoposto a vari ampliamenti e manomissioni, come quello del 1818 quando venne abbattuto un passaggio che lo metteva in comunicazione con il convento. Ora tra il vecchio hospitale e l’allora complesso monastico si apre la via Cimina verso Roma. Quei lavori hanno praticamente stravolto l’assetto medioevale della facciata che attualmente non ha più il vigore e la solennità di un tempo, confondendosi piuttosto con le abitazioni circostanti che la rinserrano senza soluzione di continuità.
Va ricordato che l’edificio era segnalato da una insegna d’impianto tardo medioevale detta Minosella, formata da una colonna in peperino sormontata da una bella croce di pietra posta davanti all’ingresso. Della colonna non si ha più traccia, ma la croce è stata provvidenzialmente recuperata ed ora si trova nel laboratorio di restauro dell’Università della Tuscia.

L’intero complesso alla fine dell’Ottocento, dopo l’abbandono dei Domenicani, venne acquisito dal Demanio dello Stato che vi trasferì il Carcere circondariale di Viterbo, attivo fino agli anni Novanta del secolo scorso. Durante l’ultimo conflitto bellico la chiesa subì gravi danni dai bombardamenti che solo oggi si stanno risanando dopo inauditi ritardi.
Chiesa e convento hanno ospitato attraverso i secoli personaggi di rango come san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura, oltre a pontefici, cardinali, principi, regnanti, artisti, letterati di varie fama ed epoche, tra cui il papa francese Clemente IV, che alla sua morte nel 1268 avviò il primo e più lungo conclave della storia della Chiesa tenutosi a Viterbo. Sull’’hospitale, buio più completo: restano oggi solo modesti ruderi che meriterebbero ben altra attenzione.
Nella foto cover, la facciata della Domus Dei
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.
La rubrica “Tuscia in pillole” è sospesa per il periodo pasquale e riprenderà il 28 aprile 2025
























