L’incontro con Rita Savagnone è uno di quelli da far tremare le gambe. Attrice (e autrice) teatrale, cinematografica, televisiva, il suo nome è indissolubilmente legato alla gloriosa tradizione del doppiaggio italiano. In questi giorni la sua celebre voce, scura come miele di castagno e duttile come cera, è leggermente offuscata da una raucedine stagionale, tuttavia, la si starebbe ad ascoltare per ore. Da qualche tempo residente nel capoluogo della Tuscia, nella serata del 27 gennaio scorso, al teatro Unione di Viterbo, Rita è stata iscritta nell’Albo d’Oro della città, in una grande festa di ricordi e di musica che ha riunito figli, nipoti e amici. «E’ stata una gran bella serata, mi ha fatto molto piacere, la platea era tutta piena». Nel suo bellissimo e colorato appartamento, quadri, libri, sculture e fotografie incorniciate fanno da sfondo a un pianoforte bianco, che occupa il posto d’onore nel soggiorno. «Una casa lo sente quando è amata», afferma Rita davanti a due tazzine di caffè fumanti.
Nata a Roma il 19 settembre 1939, è figlia del compositore e direttore d’orchestra siciliano Giuseppe Savagnone, madre di Federico Amendola, musicista, compositore e direttore d’orchestra, madre di Claudio Amendola, attore e regista, sorella della doppiatrice Deddi Savagnone, nonna della doppiatrice Alessia Amendola, cugina del direttore d’orchestra Claudio Abbado… Il talento scorre in Rita come un fiume che attraversa il tempo e le generazioni. La nostra provincia esercita una forza di attrazione nei confronti della sua famiglia, e da oltre cinque anni anche Rita Savagnone ha scelto di vivere qui. «Qualche anno fa, per stare vicino a mio figlio Federico, mia nuora Emanuela e i miei nipoti, che si sono trasferiti sui Cimini, ho affittato una casa lì. Mi piace vivere in provincia, ma la campagna “estrema” non fa per me. Così ho scelto Viterbo, è una bellissima città che già conoscevo: ho recitato al Teatro dell’Unione, Pirandello con Umberto Orsini, la “Fedra” con la mia amica Mariangela Melato. La cosa che mi è piaciuta di più di questa casa è quello che c’è là fuori». Si alza e spalanca la porta finestra. Il balconcino si affaccia su un magnifico giardino e si appoggia a una torre antica. «Ho una torre in casa, la posso toccare. Il balconcino è sopra le mura, io ho un pezzo delle mura di Viterbo… mi ha incantato questa possibilità». Come a dire, qui posso avere il mio pezzettino di muro, la mia parte di storia. Ma un posto nella storia, anche se dello spettacolo, Rita Savagnone ce l’ha già. L’elenco dei film in cui ha prestato la voce alla protagonista femminile è sterminato («Nemmeno io credevo che fossero così tanti!»). Dalle dive di Hollywood come Elizabeth Taylor, Vanessa Redgrave, Ingrid Bergman, Aretha Franklin, Liza Minnelli, Shirley McLaine, Whoopi Goldberg, alle dive italiane Sophia Loren, Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Virna Lisi, Gina Lollobrigida, che all’inizio della loro carriera vengono doppiate proprio da lei. Impossibile citarle tutte.
Eppure il destino di Rita Savagnone, come quello della sorella maggiore Anna Maria detta Deddi, attrice e doppiatrice anche lei, avrebbe potuto essere molto diverso. «Un destino di mogli e di madri, nonostante venissimo da una famiglia di artisti, siciliana di origine e trapiantata a Roma. I miei sono stati sempre in bilico tra la sregolatezza bohemienne e il perbenismo della buona borghesia palermitana e umbertina. Con noi figlie passavano dal lassismo più incauto alla repressione più feroce. A diciotto anni l’unica cosa che volevo era andare via da casa mia. Avevo iniziato a lavorare fin da bambina con la radio e il doppiaggio, guadagnavo già bene e avrei potuto benissimo fare questo passo senza l’aiuto di nessuno, ma una ragazza di buona famiglia va via di casa soltanto sposandosi». Rita sposò il collega Ferruccio Amendola, da cui ebbe i due figli Federico e Claudio. «Sono stata una mamma giovanissima. Però anche una donna incapace di tenere in piedi una situazione che non fosse limpida e felice. Così decisi di separarmi e di divorziare, e nei primi anni Settanta questo richiedeva un enorme coraggio. Sul lavoro ebbi un contraccolpo negativo: nell’ambiente circoscritto del doppiaggio mi guardavano tutti male. In seguito ebbi altre esperienze, tutte sfortunate. Ma è di Ferruccio, il padre dei miei figli, che serbo il ricordo più affettuoso». Donna volitiva, lavoratrice, emancipata, che non ha avuto bisogno di nessuno accanto, piena di gioia di vivere: parole che il figlio Claudio le ha dedicato nel suo libro autobiografico. Potremmo aggiungere combattiva. «Ma anche siciliana, fatalista… combatto, con le mie armi, nelle situazioni in cui posso combattere, altrimenti non mi ci metto proprio». E Rita ha combattuto, anche con se stessa. «Avevo trent’anni e due bambini piccoli. In totale crisi di identità. Dovevo capire se ero un’attrice o una doppiatrice. Mi piaceva il teatro, per la possibilità di esprimersi che dà all’attore, non certamente limitata alla sola voce. Il doppiaggio invece è paragonabile a un lavoro di traduzione: ci può essere una traduzione ottima (uno scrittore grande che traduce un grande scrittore), o una traduzione corretta, precisa, che ti dà l’idea del concetto che vuole esprimere l’autore, ma che resta ben lontana da un discorso artistico o creativo. Era questo che mi andava un po’ stretto. Allora vagliai delle offerte e scelsi un gruppo teatrale impegnato. Fu faticosissimo. Spendevo cifre folli in biglietti aerei, mi portavo dietro i bambini, che stavano dietro le quinte e imparavano le battute di tutti. Facevamo Brecht. Fu un periodo di grandi soddisfazioni per me. Ma noi crediamo di fare le cose per scelta, in realtà poi è l’esistenza che sceglie per noi».
Si afferma spesso che il doppiaggio italiano sia il migliore del mondo. «Perché l’Italia è il paese dove si fa di più». Complice la nostra innata ritrosia ad accostarci ai prodotti in lingua originale, in Italia il doppiaggio ha raggiunto vette altissime di professionalità, fin dai suoi esordi, e nell’epoca d’oro degli anni Sessanta Settanta. «Ho lavorato con tutti i registi italiani, fatta eccezione di Visconti e Antonioni», racconta Savagnone. «Con tutti ho avuto rapporti estremamente confidenziali e amichevoli. I registi ti sanno guidare e dirigere, perché hanno in mente il personaggio, di cui tu rappresenti soltanto una parte, la voce. E tutti consideravano il doppiaggio – voce, colonna sonora, suoni, rumori- come il punto più importante della lavorazione del film. Fu Fellini a dirmelo, un giorno, passeggiando per i vialetti di Cinecittà. Mi disse che si sentiva un po’ nervoso, come sempre quando era in fase di doppiaggio. Perché è il momento in cui capisci se hai fatto una schifezza oppure se hai realizzato una cosa bella. Eppure non tutti condividevano la stessa opinione. Specialmente la gente di teatro, era come se avesse una “spocchia” nei confronti di noi doppiatori». Nei ricordi di Rita affiora spesso il nome di Paila Pavese, collega e amica di una vita, mancata recentemente. «Avevamo scritto ciascuna un monologo e preparammo insieme uno spettacolo – il “Binologo”, appunto! – con il quale avemmo un gran successo, delle critiche positive. Eppure ci fu un’attrice teatrale che affermò, sprezzante, ah, adesso anche le doppiatrici si mettono a fare teatro. Ma ci fu di peggio, andammo al Quirino a vedere uno spettacolo, protagonisti Anna Proclemer e Gabriele Ferzetti. Il commento di Ferzetti nel vederci fu, ah, adesso anche le doppiatrici vengono a teatro…! La mentalità era questa. E’ stata una cosa che mi ha fatto soffrire moltissimo». Nel racconto di Rita affiorano personaggi, aneddoti, curiosità di un mondo che fatichiamo ad immaginare, ma che ancora, a distanza di decenni, ci affascina e ci cattura.
«Ho cominciato con Pietro Germi, che ho amato molto. Germi era un genio e i suoi film sono dei capolavori. Pasolini si ricorda con affetto… per forza! Mi chiamò a doppiare Maria Callas in “Medea”, anche se ero un po’ troppo giovane per lei. Parlava benissimo italiano, con un accento vagamente esotico e affascinante, eppure Pasolini aveva scelto di doppiarla. Ricordo che il lavoro procedeva senza che lui mi desse alcun tipo di feedback… E io invece avrei tanto voluto essere diretta, avrei voluto che parte di questa intelligenza geniale fluisse in me… Non ci fu verso, gli andava bene tutto. Qualche mese dopo ci incontrammo di nuovo a Roma, allo stabilimento della SAFA Palatino. In un pomeriggio assolato, tenevo i miei bambini per mano. Mi abbracciò, contento e affettuoso. Gli confessai, che sere prima, durante una serata di sconforto, gli avevo scritto una lettera che poi, per pudore, avevo deciso di non spedirgli. Lui si risentì: mi disse che gli avevo fatto una terribile offesa, che se quella lettera era indirizzata a lui, apparteneva a lui, e io l’avevo privato di qualcosa di suo: “Adesso ho un pezzo di me che mi manca. Non lo faccia mai più”».
Oltre a essere stata una delle migliori doppiatrici italiane, Rita Savagnone è stata direttrice del doppiaggio, nel film “The Blues Brothers” e nella serie “Saranno famosi”. E’ stata attrice cinematografica per Nanni Loy, Tonino Cervi, Salvatore Samperi, Ricky Tognazzi. Di recente, è stata diretta da suo figlio Claudio Amendola nel film “La mossa del pinguino” del 2013. In televisione ha lavorato fin dagli anni Cinquanta con Anton Giulio Majano, Sandro Bolchi ed altri ancora. La ricordiamo tutti per il ruolo di Gabriella, la suocera di Giulio Cesaroni, nella serie tv Mediaset “I Cesaroni”. E ora? Difficile immaginare questa donna vulcanica nell’inattività. «Ora sto scrivendo un libro. L’ho cominciato di getto ma sono arrivata a un punto di stallo. Per il teatro avevo avuto un’idea carina, avevo pensato di realizzarla con Paila. Sarebbe stato divertente farla ora che siamo anziane. Fa parte di tutte le cose che potevano essere e non sono state… Le rose che non colsi. Ora voglio soprattutto godermi la famiglia. Ho due figli, sei nipoti e cinque pronipoti. I piccolini mi chiamano nonna bis! Mi rendono felice. Anche se noi non ce l’abbiamo nella nostra costituzione il diritto di essere felici… Ma almeno quello di star bene sì».

Al Museo Rocca Albornoz di Viterbo con Emanuela Fresi ph Loredana Catena

Foto insieme al figlio il musicista Federico ph Loredana Catena























