Il salvataggio e la valorizzazione del patrimonio artistico, storico, culturale, passano attraverso lo strumento della conoscenza. Non esistono scorciatoie. Tanto meno interventi spot e approssimativi. La filosofia di Salvatore Enrico Anselmi emerge netta al termine della chiacchierata, anche se le parole sono sfumate, magari ridondanti rispetto alla scuola di pensiero che dovrebbe essere applicata a Viterbo e ai suoi inestimabili tesori. Salvatore Enrico Anselmi, viterbese doc, non è uno storico dell’arte e un intellettuale estemporaneo, ma un tecnico della materia: dottore di ricerca in Memoria in materia di opere d’arte all’Unitus, studioso delle Committenze Nobiliari di età barocca, collabora con il Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma, ha tenuto corsi di storia in vari atenei. E poi è uno scrittore. Ha pubblicato lavori storici e narrativi: “Committenze a Orte in età barocca”, “Cultura gesuita e influenza pozziana”, “Exitus”, “Passaggi di proprietà”. Ultimo impegno uno studio approfondito sulla chiesa dei santi Giuseppe e Teresa del capoluogo, cioè la chiesa del Tribunale. “Che nel tempo è stata cannibalizzata e che non dovrebbe essere trasformata in un mercato rionale”. Una sentenza rispetto al confronto che è aperto da tempo sulla destinazione d’uso del complesso che fu dei frati Carmelitani.
“E’ un sito seicentesco scelto in base a criteri precisi del tempo: che fosse leggermente decentrato e connesso agli assi viari. In questo caso con la via Farnesiana e una delle porte urbiche, porta Romana. L’ingresso dei Carmelitani fu patrocinato dall’allora vescovo di Viterbo Tiberio Muti, l’inserimento nella comunità avvenne grazie a padre Salvatore di Santa Maria, un Fani di origine. Ci furono difficoltà finanziarie iniziali che vennero superate con il contributo delle istituzioni pubbliche e di alcune famiglie. Poi con la prima occupazione napoleonica il convento fu soppresso, nel 1873 dopo l’unità d’Italia fu di fatto smantellato e i Carmelitani progressivamente scomparvero”.
Nell’ipogeo della chiesa si troverebbe la tomba del pittore Romanelli. Lei conferma?
“Esistono documenti che attestano la costruzione della cappella Tignosini-Romanelli e gli atti di pagamento relativi alla realizzazione degli apparati decorativi della chiesa. E lo stesso Romanelli ha eseguito il dipinto “L’annunciazione” che si trova presso il museo civico di Viterbo e che avrebbe dovuto decorare quella cappella. Sì, penso che verosimilmente Romanelli sia lì sepolto”
Risulta che sotto il pavimento ci siano degli ambienti.
“E’ documentato. Per questo sarebbe necessaria una ispezione accurata e definitiva per accertare ingombro, struttura, caratteristiche. Spiace poi che siano state smantellate le macchine d’altare, cioè le decorazioni ornamentali”.
Che fine hanno fatto?
“Rimosse e disperse anche con la trasformazione della chiesa in aula di Corte d’Assise. Un esempio? Ho rinvenuto disegni progettuali della chiesa di Santa Maria della Salute, quella di avvocati e dei notai, ispirati alla Cappella della Madonna di Loreto. Voglio dire che questa è stata fortemente impoverita e depauperata già all’indomani della soppressione dell’ordine dei Carmelitani. Poi con la trasformazione in Corte di Assise è cominciata a venir meno anche la sua memoria”.
E in futuro sarà un mercato coperto o un centro culturale?
“Di scuro la destinazione a mercato ortofrutticolo o del pesce è quella meno indicata perché cannibalizzerebbe ulteriormente il dato materiale mentre l’istanza dovrebbe essere conservare, restaurare e mantenere in condizioni ottimali ciò che ci è stato tramandato. Convento e chiesa dovrebbero essere destinati a spazio museale. E credo che la Soprintendenza sia orientata a non dare corso al progetto di realizzazione di un mercato coperto”.
Esistono in città situazioni altrettanto delicate in tema di recupero del nostro patrimonio?
“Certo. Penso alla basilica di Santa Maria in Gradi, nata con la committenza dei Domenicani e del cardinale Neri Corsini. Che il Rettorato sia stato ubicato lì ha determinato fortunatamente un ripristino del convento, rimane l’intervento da completare all’interno della chiesa. Penso ancora alle ex Scuderie della Rocca Albornoz con la presenza di Donato Bramante. Al San Simone e Giuda. A Palazzo Calabresi. Alla chiesa di Sant’Orsola”.
Tanti progetti, in realtà siamo all’anno zero…
“Serve indubbiamente intervenire con un’azione concreta di recupero di questi spazi. Attenzione, per poter recuperare e valorizzare si deve innanzi tutto conoscere. Perché solo quando si conosce ci si rende conto del valore, del pregio e della storia di un edificio”.
Lo strumento quale può essere?
“Divulgare, diffondere la cultura attraverso iniziative simili a quella recente sulla questione dell’ex tribunale. E poi realizzare siti tematici e specializzati. Se l’opinione pubblica viene sollecitata risponde perché una sensibilità di fondo esiste e va alimentata con assiduità, continuità, cautela. In una parola, professionalità. Mi consenta un esempio, in questo caso negativo: l’aver destinato due opere di Sebastiano del Piombo al museo dei Portici ha impoverito la collezione del museo civico. Credo, spero che Viterbo possa diventare davvero città di cultura e di arte, ma questo non può restare soltanto uno slogan”.























