Mauro Chiarle, da Torino a Celleno per risollevare l’Enpa

di Arnaldo Sassi

Mauro Chiarle

Il suo merito maggiore è quello di aver ridato vita a un ente che, per vicissitudini varie, in provincia di Viterbo era quasi scomparso. Ma Mauro Chiarle, 72enne torinese, a poco a poco c’è riuscito. E oggi l’Enpa (ovverosia l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali) è una realtà in continua crescita, che sta mettendo in piedi varie iniziative dall’alto potere valoriale.

Cominciamo dall’inizio. Come è nato l’amore per gli animali?

“Da piccolo. Un amore che nasce da un sogno. Quello di portare a spasso i cani al guinzaglio. Lo sognavo spessissimo ed era il mio divertimento preferito. Poi, un giorno, arrivò un cagnolino vero…”.

E come è arrivato da Torino a Viterbo?

“La lasciai più di vent’anni fa per andare ad Alviano, il paese natale di mia madre. Poi ho attraversato il fiume e sono arrivato a Celleno, dove tuttora vivo”.

Torniamo ai cani…

“La passione è stata sempre tanta, a tal punto che decisi di diventare addestratore. Conobbi il buon vecchio Roman, un vero maestro in questa pratica, anzi il preparatore più bravo d’Italia, E con lui cominciai ad addestrare i rottweiler”.

Qual era il fine?

“Quello di far sì che l’animale fosse di supporto all’uomo come guardia del corpo o per i portavalori di via Montenapoleone, a Milano. Quello era il periodo di frequenti e sanguinose rapine e il rottweiler per quello scopo era come la Ferrari”.

Scusi, io ho sempre pensato che per questo scopo fossero più adatti i pastori tedeschi…

“In effetti il pastore tedesco è molto più vicino a noi. Più disponibile e anche più bello. Fin tanto che non lo hanno rovinato…”.

Cioè?

“E’ stato rovinato perché bisognava produrre degli esseri economicamente più appetibili. Non a livello caratteriale, ma strutturale, abbassandone il posteriore. Oggi quasi tutti soffrono di displasia”.

Un peccato…

“Già. Io ho lavorato per una decina d’anni anche come preparatore di cani per la Polizia di Stato con i pastori tedeschi. Ci si è provato anche con i rottweiler, a Bologna, ma non ci si è riusciti. Era molto più difficile. Perché il rottweiler è un cane con i sindacati…”.

Si spieghi meglio…

“Se tu gli chiedi qualcosa lui ti fa subito capire: che mi dai in cambio? E se il rapporto non è giusto lui si ribella, perché non accetta la subalternità”.

Chiarle mostra il dito di una mano mezzo mozzato.

“Vede? Questo risale a 40 anni fa. Ricordo di un mio rottweiler, con cui ho fatto anche i campionati europei. Era addestrato, ma in quel momento non accettò quello che io gli stavo chiedendo. Prima sedendosi. Poi, quando inveii contri di lui, reagendo a modo suo”.

Parliamo dell’arrivo nella Tuscia. Cosa ha fatto?

“Ho tentato di avvicinarmi al Partito Animalista Europeo e per un po’ ho fatto il lavoro da pubblicitario. Prima non c’erano grossi guadagni sui cani, più sui cavalli. Così andavo anche a fare scuola ai butteri”.

Allora arriviamo all’Enpa…

“Una dozzina di anni fa fui contattato da Carla Rocchi (ex parlamentare dei Verdi e presidente nazionale dell’Enpa, ndr), la quale mi esortò a occuparmi di Viterbo, dove c’era una situazione molto difficile. E oggi ringrazio soprattutto quelli che hanno tentato di mettere i bastoni tra le ruote, perché hanno dato all’ente la forza di ricominciare”.

Com’è la situazione attuale?

“Stiamo crescendo e abbiamo in seno molte iniziative, tra cui l’istituzione di un’oasi felina. Poi ci sarà un rifugio tutto nostro, dove io stesso andrò ad abitare. L’obiettivo è quello di collaborare con tutte quelle associazioni che vogliono valorizzare gli animali. Penso, ad esempio, alle associazioni dei non vedenti o alle case di riposo dove ci sono anziani malati di Alzheimer. Una malattia che può andare indietro semplicemente accarezzando un gatto”.

Avete appena concluso una stupenda iniziativa coi detenuti…

“Che mi ha strappato le lacrime, soprattutto quando il vice presidente Maurizio Spinnato ha letto la lettera di uno di questi. Abbiamo messo in piedi un corso che è servito molto ai detenuti, ma anche ai cani”.

E adesso?

“Il prossimo obiettivo sarà quello di fare dei corsi con esami finali. E il corso successivo sarà tenuto da quelli che hanno superato il precedente”.

Insomma, che il cane sia il miglior amico dell’uomo non è solo un modo di dire…

“Assolutamente no. Io ho portato i cani anche tra i cerebrolesi e ne ho avuto ottimi risultati. Quando sentono qualcuno che è diverso, i cani si avvicinano di più. Concludo con una vicenda personale: quando mi sono dovuto operare lasciai il mio cagnolino ad un amico. Io telefonavo tutti i giorni e gli parlavo, perché lui non voleva mangiare…”.

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