Ottantasei anni fa, il 19 luglio 1936, a Barcellona, capitale della Catalogna, insorgeva la popolazione contro i militari reazionari facenti capo a Francisco Franco, sollevatisi due giorni prima contro la Seconda Repubblica di Spagna e il suo Governo democraticamente eletto. L’iniziativa era spettata agli anarchici, che in Spagna godevano ancora di un seguito di massa, laddove le istituzioni si stavano invece dimostrando deboli nel difendere l’ordine repubblicano. Proprio su “Solidaridad obrera”, organo della Cnt, il Sindacato anarchico, il giorno 18, l’appello:“A Siviglia i fascisti hanno sparato sui nostri fratelli! A Cordoba i soldati si sollevano! In Marocco si combatte nelle strade! Chi non sente questo dovere rivoluzionario è un traditore della causa del popolo! Viva il comunismo libertario!”.
Il giorno dopo, nella capitale catalana, avrebbe per il vero dovuto avere inizio la Olimpiada popular, l’Olimpiade popolare della solidarietà fra i popoli, in risposta alle Olimpiadi di Berlino, vetrina per il nazismo. Alla “Settimana di sport e folklore” si erano iscritti seimila atleti, da 22 nazioni, organizzati nell’associazionismo sportivo proletario e, nel caso dell’Italia e della Germania, nell’esilio politico. Al loro arrivo gli atleti trovano Barcellona, la “Rosa di fuoco”, in fiamme: protagonismo delle donne, distribuzione delle armi, barricate, alcune con alle spalle proprio il manifesto dell’olimpiade mancata, così duecento di loro si fermano a combattere.
È l’inizio della Guerra civile, e sociale, spagnola, che si sarebbe conclusa il 1° aprile 1939, quando Franco, assicuratosi della definitiva capitolazione del fronte repubblicano, marcia su Madrid. La Spagna, nell’Era contemporanea rimasta sin qui all’angolo delle vicende europee, si trova così crocevia dello scontro tra le opposte visioni sociali e politiche, culminato poco dopo nella Seconda guerra mondiale. Sul tragico banco di prova, la Germania nazista e l’Italia fascista appoggiano fattivamente la sollevazione militare, nel nostro caso anche con il massiccio invio di volontari, per il vero in larga parte fittizi, come si sarebbe scoperto a Regime crollato. Le liberaldemocrazie stanno a guardare, temendo tuttavia di più uno sconvolgimento rivoluzionario. In appoggio alla Seconda Repubblica, la sola Unione Sovietica ma, su questo fronte, perviene un contributo che trova dei precedenti nello spirito ma non nelle proporzioni. In soccorso degli assetti repubblicani, o nell’auspicio d’una loro trasformazione in senso rivoluzionario, giungono quarantamila combattenti volontari da ogni angolo del Pianeta. Si tratta quasi esclusivamente di lavoratrici e lavoratori, di quella “armata dei pezzenti” di cui affettuosamente avrebbero cantato i Clash in Spanish bombs: anarchici, comunisti, repubblicani, socialisti e democratici di sentimento progressista in generale. In questo slancio non è da meno l’Italia, da cui provengono oltre quattromila volontari, seppure per gran parte già in esilio all’estero, per un contributo fondamentale alla causa antifranchista, grazie alle doti umane, politiche, intellettuali e, va aggiunto, militari. Emilio Lussu ha a riguardo scritto: “L’intervento dell’Antifascismo italiano non è solo numero; esso è anche qualità. Nessuna emigrazione ha, come la nostra, elementi tecnici. Noi disponiamo di ufficiali, sottufficiali, graduati di tutte le armi, e in tale numero da poter facilmente fornire i quadri per parecchi battaglioni. Noi abbiamo, nella nostra emigrazione, graduati e sergenti che hanno fatto la Guerra e che possono benissimo comandare il plotone e la compagnia”.
Uno slancio ed una generosità che avrebbero incrociato le laceranti divisioni del fronte antifascista, tra chi voleva la mera difesa della Repubblica e chi premeva per uno sbocco rivoluzionario della guerra. L’episodio scatenante si sarebbe avuto nel maggio 1937, sempre a Barcellona, quando la base anarchica, con l’appoggio dell’eterodosso Partido obrero de unificaciòn marxista (Poum), occupava la Centrale telefonica: un gesto reputato di sabotaggio dal Governo, che procedeva quindi alla messa fuorilegge del Poum e alla persecuzione dei suoi quadri.
Ciononostante, lo sforzo volontario nella Spagna, pure sconfitto, avrebbe gettato le basi per le battaglie immediatamente successive: la Lotta di liberazione nella Resistenza e nella successiva decolonizzazione. Vale il discorso di Carlo Rosselli a Radio Barcellona del 13 novembre 1936, in cui disse: “Oggi noi siamo convinti che da questo sforzo modesto ma virile dei volontari italiani troverà alimento domani una possente volontà di riscatto. È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. 0ggi qui, domani in Italia”.
Tra i volontari italiani accorsi, alcuni provenivano dal Viterbese. La Tuscia, del resto, era stata zona di volontarismo sin dai moti risorgimentali, ed avrebbe continuato ad esserlo nei decenni postunitari. Ad esempio, nella Legione Amilcare Cipriani, esperienza ponte tra il volontarismo garibaldino e le nuove istanze rivoluzionarie, sono segnalati due viterbesi: Crescenziano Calcagnini e Pietro Giusti, combattenti per la liberazione dell’isola di Creta dall’Impero Ottomano sul finire dell’Ottocento. Se ne ha nota dalle cronache de “l’Avanti!”. Un volontarismo politico che si sarebbe protratto sino alla Prima guerra mondiale e, quindi, alla Spagna. Qui, a fornire nomi è La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, un dizionario biografico a cura dell’Associazione italiani combattenti volontari antifascisti in Spagna (Aicvas), pubblicato nell’ormai lontano 1996. Le loro vite rispecchiano quelle della media dei volontari antifascisti in Spagna: persone umili, emigrate all’estero per sfuggire alle grinfie dell’Ovra e, se sopravvissuti al conflitto, solitamente internati nei campi di concentramento in Francia o, se rimpatriati, nel confino.
Gianluca Onofri di Viterbo, in qualità di ricercatore indipendente, ha compiuto degli studi su queste persone e c’è da auspicare che ne sortisca prima o poi una pubblicazione. In base agli elementi che si posseggono al momento, sappiamo sul loro conto le seguenti informazioni.
Umberto Salvatori, di Paolo, Oriolo Romano, nato il 21 dicembre 1904. Autista, emigrato in Francia nel 1923, combattente nelle Brigate internazionali. Nel 1940 è rimpatriato e confinato a Ventotene.
Giordano Starnini, di Cesare e Domenica Rosati, Valentano, nato il 23 dicembre 1907. Calzolaio, socialista. Emigrato a Troyes, Francia, dove frequenta il locale Circolo cattolico. Nel 1932 capeggia una manifestazione contro il Console italiano durante l’inaugurazione della Casa degli italiani. Arrestato, espulso, si reca in Belgio mantenendo i contatti con il Partito socialista. Rientrato in Francia, si dedica alla diffusione de “l’Avanti!” e milita nella Lega italiana per i diritti dell’uomo (Lidu). Il 20 gennaio 1937 è in Spagna e si arruola nella Compagnia italiana del Battaglione Dimitrov. Cade il 5 aprile successivo a Morata de Tajuna. Gli è stata intestata una via a Valentano, suo paese d’origine.
Ercole Vernanzi, di Giovanni e Assunta Monfeli, Fabrica di Roma, nato il 22 settembre 1898. Bracciante, comunista. Emigrato in Francia nel 1924 da dove è espulso per attività antifascista, come gli succede poi in Belgio e Lussemburgo. Nell’ottobre 1936 si arruola nel Genio zappatori del Battaglione Garibaldi e poi nella Brigata omonima. Partecipa alle battaglie di Madrid, Guadalajara (dove i volontari antifascisti italiani hanno sconfitto i fascisti italiani inviati dal Regime), Brunete, Estremadura, Caspe ed Ebro. Rientrato in Francia, è internato nel Campo di concentramento di Argelès. Tradotto in Italia nel 1942, è confinato a Ventotene.
A questi nominativi ne vanno aggiunti due che hanno avuto a che fare con la Provincia di Viterbo. Uno è nelle memorie di Giacomo Zolla di Soriano nel Cimino. Si tratta di Antonio Mariani, di Mara (Sassari), che nella Resistenza si troverà a Soriano nel Cimino, Combattente partigiano nella Banda Domenico David – Calogero Diana. Ritornato nel suo paese d’origine manterrà i contatti con Zolla. Di suo pugno una sgrammaticata quanto gustosa lettera a Sandro Pertini, al momento dell’elezione a Presidente della Repubblica, per congratularsi e ricordargli del confino assieme e della bottiglia di Marsala stappata all’annuncio della deposizione di Mussolini.
Un altro volontario in Spagna, Domenico Rolla di Arcola (La Spezia), sarà invece inviato dal Pci a Viterbo nel Secondo dopoguerra per organizzare la Federazione locale, nella convinzione, non necessariamente fondata, che i comunisti del posto non ne fossero capaci.



























