CERAMICHE DI BAGNOREGIO A PALAZZO VENEZIA
Negli appartamenti Cybo di palazzo Venezia a Roma è esposta una raccolta di ceramiche di varie epoche e di varie regioni d‘Italia. In una vetrina si ammirano reperti ceramicoli di Bagnoregio di rara raffinatezza, con questa didascalia.
“La produzione ceramica bagnorese dei secoli XVI e XVII è stata fino ad oggi assimilata genericamente a quella del territorio di Viterbo. Tuttavia, è un fatto che a Bagnoregio numerosi “vasai”,”figuli” e “magistri” sono stati attivi fino a tutto il Seicento. Originari della vicina terra umbra, ricca di antiche ed illustri esperienze nel campo dell’arte ceramica, essi furono inevitabilmente i portatori e i diffusori fuori delle mura domestiche di questa tradizione. Si trattava di personalità artistiche ben definite titolari di botteghe ceramiche e talvolta incaricate di pubblici uffici; il loro giro d’affari è ampiamente documentato nei locali protocolli notarili che li vedono protagonisti di numerosi rogiti relativi ad acquisti, locazioni e permute di immobili di varia natura. L’analisi di queste fonti consente di aggiungere un importante tassello alla storia della ceramica dell’Alto Lazio e conferma l’ipotesi secondo cui, nel territorio di Bagnoregio, le contrade “Rota” e “Mercatello” rappresentarono il centro propulsore di una fiorente attività di produzione fitfile”.
LA VINCITRICE DEL PREMIO RICCI E’ AIDA A VERONA
Il soprano statunitense Monica Conesa vincitrice dell’edizione 2021 del Premio Fausto Ricci promosso ogni anno a Viterbo dall’Associazione XXI Secolo presieduta da Giuliano Nisi, sarà il 24 luglio 2022 all’Arena di Verona nel ruolo di Aida che viene riproposta con la storica regia di Franco Zeffirelli. Le sono accanto Simon Lim (Re d’Egitto), Anna Maria Chiuri (Amneris), Murat Karahan (Radames), Rafal Siwek (Ramfis), Sebastian Catana (Amonarso), Francesco Pittari (Un messaggero) e Yao Bohui (Grande Sacerdotessa). La Conesa venne giudicata nell’Ottobre scorso da una giuria presieduta da Josè Carreras di cui facevano parte Cecilia Gasdia, Gianni Tangucci, Stefano Garau, Fabrizio Bastianini, Corinne Baroni e Mauro Gabrieli. La sua voce straordinaria fu apprezzata per il notevole spessore vocale, la teatralità e la sicurezza.
GEMONA. A PRANZO CON GIACINTA, BONAVENTURA E ROSA
Nel refettorio del monastero delle Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore a Gemona nel Friuli, si trovano le immagini di santa Rosa da Viterbo (è scritto di Viterbo), di santa Giacinta Marescotti (è scritto Mariscotti) e di san Bonaventura. che insieme ad altre decorano gli stalli lignei neogotici ricostruiti dopo il terremoto del 1976. In particolare il volto di Rosa è molto simile a quello della giovinetta raffigurato nella tela settecentesca di anonimo custodita nel Museo del Colle del Duomo di Viterbo. Ma c’è di più. Alla costruzione del monastero risalente al 1861, contribuì in misura determinante padre Gregorio Fioravanti da Grotte di Castro (1822-1894) dei Francescani Minori Osservanti. Divenne sacerdote a Viterbo nel 1845 dove trascorse gli anni giovanili presso il convento di Santa Maria del Paradiso. Trasferito a Venezia, nel 1856 fu generale della Provincia minoritica lombardo-veneta.
RISOTTO ALLA VITERBESE
Nel primo Ottocento a Viterbo si tentò la coltivazione del riso con risultati molto modesti. Il paragone che qualche mitomane del tempo faceva con Ferrara creò inizialmente proseliti tra la povera gente che non aveva tante alternative per il pranzo e la cena. Solo che lassù, nella “Bassa”, c’erano il Po, i terreni sotto il livello del mare, un efficiente sistema di canali e ragazze più sode e robuste di quelle nostrane. Ce lo racconta molto bene Giuseppe De Santis in “Riso amaro” (1949) con una prosperosa Silvana Mangano, le cui cosce impreziosite da due calze nere e sdrucite fecero la fortuna del film e il giro del mondo. “Noi viterbesi – dicevano i più convinti – abbiamo le sorgenti del Bulicame che potrebbero rendere possibile e produttiva la coltivazione del riso”. Fatto sta che alcuni “arruffapopolo” (c’erano anche allora) redassero un progetto di sviluppo all’insegna dello slogan “Viva il riso di Viterbo”che fece presa ma niente sostanza. Ci speravano i gestori delle locande di allora che già pensavano di lanciare nei loro menu il “Risotto alla viterbese”.
CHECCO LALLO IL “COCCIARO”
Si chiama Angelo Ricci, come il nonno, a suo tempo conosciuto come Checco Lallo “er cocciaro” di Vetralla. Era famoso intorno alla metà del secolo scorso quando insieme al fratello Felice produceva per il mercato locale utensili in terracotta in una vecchia fornace di via dei Pilari a Vetralla. Oggi lavoro e tradizione sono sulle spalle del nipote Angelo jr. che utilizza gli stessi strumenti nel laboratorio-spelonca del nonno: il vecchio forno alimentato a legna, il tornio a pedale e l’argilla prelevata in una cava nei dintorni del paese. Le sue mani nodose e creative che emulano quelle del vecchio Checco Lallo sanno di calli, creta ed esperienze di buona memoria etrusca. Oggetti di uso comune ispirati al bello e all’armonia: pignatte, brocche, scolapiatti, bicchieri, tegami, boccali, tutti dotati di invetriatura e decorazioni fatte a mano con disegni floreali di verde e giallo. Oggetti unici, frutto di una manualità creativa che resiste nel tempo. Una sorpresa da verificare in presenza.
Info. Angelo Ricci cell. 388.6920216 email checcolallovetralla@gmail.com.
CRISTINA SEXY A PADOVA
Santa Cristina nei Musei Civici agli Eremitani, adiacenti alla cappella degli Scrovegni. E’ un olio su tela del veneziano Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (1548 c.–1628), formatosi nel periodo della Scuola Veneta e del Manierismo romano (ha fatto anche parte dell’équipe di Cesare Nebbia). Di pregio le sue collaborazioni con numerosi big del tempo, fra cui il Tiziano che gli affidò alcune rifiniture della celebre “Pietà”. L’eroina di Bolsena, raffigurata nell’ultimo atto del martirio, trafitta dalle frecce del suo aguzzino (il prefetto Giuliano), è un po’ diversa dall’immaginario collettivo che la vuole esile, appena adolescente e coperta da una lunga veste. Negretti la dipinge invece seminuda, decisamente formosa, in un’estasi quasi sensuale di fronte alle frecce mortali. E’ un’ulteriore dimostrazione di quanto santa Cristina sia popolare in molte città d’Italia e d’Europa, proprio per le tribolazioni cui è stata sottoposta, enfatizzate peraltro da mille leggende. Le sue sofferenze sono la dimostrazione della indistruttibilità della vita cristiana: “il martire è immortale e nulla gli può nuocere. Egli deve superare molte prove prima di raggiungere il Signore”.
L’Autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.
Nella cover: Checco Lallo, il “cocciaro” di Vetralla



























