Montalto, quando il metano non ti dà una mano

di Arnaldo Sassi

Il metano ti dà una mano, diceva uno slogan pubblicitario del secolo scorso. Già, a patto che l’uomo questa mano sia disposto a tendergliela. E in questo momento di crisi energetica, dovuta soprattutto alla guerra Russia-Ucraina, con la bolletta del gas che è schizzata a quote astronomiche, di una mano da parte del metano ce ne sarebbe proprio bisogno.

Il problema ormai è noto a tutti. L’Italia acquista dalla Russia il 37% del suo fabbisogno annuale, ma – vista la situazione che si è creata – il Governo sta pensando a strade alternative che possano rendere indipendente lo Stivale dalla tenaglia putiniana. Acquistare, ad esempio, il metano dagli Usa, che ne producono più della Russia. Ma per far questo serve un adeguato balzo tecnologico: i rigassificatori, vale a dire impianti che trasformano in gas da inserire nella rete il metano liquido trasportato dalle navi. In Italia attualmente ce ne sono tre (a Livorno, La Spezia e Rovigo), ma non bastano. Bisognerebbe realizzarne altri, e pure con una certa fretta.

Prima però, facciamo un po’ di storia. Negli anni ’80 a Montalto si cominciò a costruire una centrale nucleare. Ma, dopo il disastro di Cernobyl, nel novembre 1987 gli italiani furono chiamati a votare su un referendum per l’abolizione dell’energia atomica: vinsero i sì con l’80, 57%. E così si dovette ripensare tutto: stop alla realizzazione della centrale nucleare (che era quasi terminata) e via a quella policombustibile (che poteva essere alimentata da carbone, petrolio e metano).

E a questo punto della storia entra in ballo Gemini Ciancolini, ex sindaco di Vitorchiano, ma soprattutto segretario provinciale viterbese della Fiom-Cgil negli anni ’80-’90, quelli ruggenti della realizzazione e riconversione della mega centrale elettrica.

“Anche se quella centrale fu pensata e realizzata per essere policombustibile – racconta Ciancolini – fu chiaro a tutti fin dall’inizio che il gas metano avrebbe dovuto essere il propellente privilegiato, in quanto sostanza a più basso inquinamento rispetto alle altre due”.

“Di conseguenza – prosegue – si ipotizzò pure un rigassificatore, che avrebbe dovuto alimentare la centrale e distribuire il metano in rete nell’Italia centrale. Furono fatti adeguati sudi tecnici e si stabilì che le navi sarebbero potute arrivare fino a un chilometro e mezzo dalla riva. Da lì, in un primo tempo si pensò a un tubo subacqueo, ma poi si optò per una passerella in superficie, che avrebbe dovuto portare il metano dalla piattaforma, da realizzare in mezzo al mare, fino alla riva, dove sarebbero state istallate quattro mega sfere in grado di rigassificarlo”.

“Il progetto – racconta ancora Ciancolini – procedeva spedito, tanto è vero che l’Enel avviò subito contatti con la Nigeria per la fornitura del gas. E il lavoro da fare per realizzare la passerella fu addirittura appaltato. La gara fu vinta da una ditta di Milano, la Nuova Cimimontubi. Io andai anche nella sede di Milano per avviare una trattativa al fine di ottenere incentivi per gli operai che dovevano realizzare l’opera”.

Insomma, tutto sembrava procedere. E poi? “All’improvviso si bloccò tutto – conclude Ciancolini (nella foto) – senza una spiegazione plausibile. Ci furono un po’ di polemiche sui giornali, ma la cosa morì lì. Forse il passaggio delle metaniere avrebbe potuto dare fastidio alle spiagge dell’Argentario. E qualcuno, o forse più d’uno, ha pensato bene di mettere lo stop. E’ una mia ipotesi, ma altre spiegazioni non le trovo proprio”.

Già. Intanto però, il costo di quell’operazione (studi tecnici, progetti, appalto e quant’altro) è andato a finire sulle bollette degli italiani, che ancora lo pagano.

Il metano ti dà una mano? Sì, ma bisogna anche volerlo.

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