Ottant’anni fa, nel gelo dell’alba del 31 gennaio 1944, a Forte Bravetta, in Roma, la fucileria nazifascista poneva fine alla travagliata e tormentata esistenza del professor Mariano Buratti.
Una vita iniziata a Bassano di Sutri (oggi Bassano Romano), poco più di quarantadue anni prima, il 15 gennaio 1902, agli albori d’un secolo breve vissuto appieno proprio fino al suo apice, la Seconda guerra mondiale, che di quella vita avrebbe determinato il tragico epilogo.
Buratti è stato, infatti, un uomo della prima metà del Novecento, delle leve non rientrate per poco nella chiamata al Fronte di quella Grande guerra di cui avrebbero però assorbito tutto il portato culturale e politico. Ottenuta la maturità ginnasiale, infatti, Buratti aveva subito intrapreso la carriera militare, nella Fanteria, inviato proprio nella Fiume che aveva da poco vissuto l’Impresa dannunziana, con il fine di normalizzare quella realtà. Nel 1924 avrebbe intrapreso la carriera all’interno della Regia guardia di finanza, di cui non avrebbe mai del tutto abbandonato la divisa.
Come era stato per larga parte degli studenti suoi coetanei, anche Buratti è acceso sostenitore di un Regime fascista di cui aveva visto nascita ed affermazione. Lo si sarebbe visto con l’esplodere della Guerra d’aggressione in Africa orientale del 1935-36. Buratti vi prende infatti parte, nella Milizia volontaria di sicurezza nazionale, cioè le Camicie nere. L’anno prima aveva dato alle stampe la raccolta di poesie Focolare spento, lavoro intriso del dolore per la scomparsa della moglie Cristina Pollak e della figlioletta che aveva appena partorito. Nello stesso periodo si era dedicato alla stesura di opere di tenore narrativo e fantascientifico.
Ottenuto il congedo, nel 1937, Buratti riprende gli studi universitari presso la Facoltà di magistero della Sapienza. Nello stesso anno, sposava la viterbese Maria Luisa Bianchini. Tra i suoi docenti universitari, Guido De Ruggiero, poi tra i fondatori del Partito d’azione, personalità che ha molto probabilmente influito sulle scelte politiche maturate successivamente. Conseguita la laurea, con una tesi su Locke, Buratti si abilitava all’insegnamento di Storia e filosofia, che iniziava nel maggio 1942 presso il Liceo classico Umberto I di Viterbo.
Nel Giungo del 1940 l’Italia era entrata in guerra, Buratti, richiamato, si vedeva però diagnosticata una malattia tropicale, la colite di arnebasi: sarebbe stato infine posto in licenza illimitata, potendo così terminare gli studi ed insegnare.
Nella coscienza del professore, proprio mentre è immerso nella docenza, accade qualcosa, a lui come a molti altri che avevano sostenuto il fascismo, sino a passare all’Antifascismo. Le motivazioni di questo mutamento sono molteplici. C’è quella che in sede storiografica sarebbe stata chiamata “sinistra fascista”: la fronda sindacale e studentesca, ora censurata ora tollerata dal Regime, insofferente verso un fascismo che di antiborghese aveva solo le formalità, e che avrebbe, perlopiù, finito per guardare al comunismo nel nome di una vera rivoluzione sociale. Poi ci sono le ragioni individuali, maturate magari nel silenzio, dinanzi soprattutto alla guerra, per cui cresce quel disgusto che, con la Resistenza, si sarebbe trasformato in aperta, e fattiva, avversione.
Buratti aderisce al Partito d’azione, fondato clandestinamente il 4 giugno 1942, sulla scorta del movimento Giustizia e libertà di Carlo Rosselli. Quello azionista è un partito a carattere sostanzialmente pluralistico, che finisce per raccogliere vari filoni di pensiero antifascista, da quelli liberali a quelli social – rivoluzionari. Nella Lotta partigiana, il partito “dei tecnici e dei poeti”, dei fucili e dei fucilati, avrebbe rappresentato quantitativamente la seconda formazione politica della Resistenza. Il suo eclettismo, punto di forza nella cospirazione, avrebbe invece rappresentato una ragione di declino con la libertà, sino all’implosione. Una compagine politica che non avrebbe trovato spazio nella divisione del mondo in blocchi, sebbene destinata a sopravvivere nella cultura e nel pensiero politico e filosofico.
Buratti aveva iniziato a colloquiare con i suoi allievi, alludendo più o meno esplicitamente all’attualità, inducendo gli studenti a dubitare della propaganda del Regime, soprattutto riguardo l’ottimismo sulle sorti della Guerra.
Sopraggiunge il 25 Luglio 1943, con la deposizione di Mussolini e la convinzione che il fascismo e la guerra stessero per finire. Anche le strade di Viterbo si riempiono di una folla festante. Buratti esce allo scoperto: la sua abitazione in via Saffi è aperta a chiunque volesse parlare o confrontarsi con lui. In merito a questi frangenti, avrebbe ricordato il professor Aldo Laterza, suo allievo:
« Nel luglio del ‘43 ormai la guerra era perduta. Buratti non capì in quel momento che il 25 Luglio non era successo quasi nulla, cioè che non era finita la guerra. Non pensò che Mussolini avrebbe restaurato un’altra volta il fascismo. Nel frattempo, noi ragazzi che gli eravamo affezionati, lo continuammo a frequentare a San Martino, dov’era sfollato per evitare problemi di bombardamenti e di altro. In quel momento disse che noi ci saremmo dovuti occupare vivamente di leggere e vedere quali potessero essere le regole di un convivere sociale democratico. E allora, per aiutare noi, ebbe l’idea – perché si divertiva ad insegnare e a fare le cose insieme – di scrivere un modello di costituzione italiana. Io mi ricordo che insieme ad altri, in bicicletta, ci facevamo quei sei chilometri di salita per San Martino, che sono pesanti. Stavamo là tutto il giorno con Buratti, portandosi una merendina, e lì si discuteva di tutto, perché poi la sua cultura gli permetteva di parlare di qualsiasi cosa. Lui intanto credeva che il fascismo fosse caduto definitivamente; prese il gusto di scrivere. Lui aveva scritto uno splendido libro di poesie sulla sua vicenda umana, tragica – perché perse prima una figlia, la moglie, poi una seconda figlia -, che si chiama Il Focolare spento. Lui lo ha regalato a me, ma anche ad altri, con una dedica: “Ad Aldo Laterza, con la mente e con il cuore del sallustiano Idem velle atque idem nolle ea demum firma amicitia est [Volere le stesse cose e non volere le stesse cose, in fondo questa è l’amicizia]”, in cui, sotto, invece di scrivere “il 10 agosto [1943]”, ha scritto “nel quindicesimo giorno della restaurata libertà”.
Perché è importante questa dedica? Perché è importante questo tipo di data? Perché lui questi libri li ha diffusi. Non solo: questo documento che stavamo scrivendo lo sottoponeva agli occhi di tutti quelli che potevano essere interessati. Quando è venuto l’8 Settembre, tutti sapevano chi era Buratti: era completamente discreditato per i fascisti».
E dopo il 25 Luglio viene l’8 Settembre. Anche per la Tuscia arriva il momento della Resistenza, con la formazione delle bande che si dedicano all’attività militare di contrasto alle forze d’occupazione naziste e al locale collaborazionismo fascista. Buratti si adopera, con l’aiuto principalmente dei suoi allievi, alla costituzione di una formazione partigiana, detta la Banda dei Cimini, dalla zona di attività della medesima, tra i territori di Viterbo, Vetralla e San Martino. La banda si dedica ad attività di sabotaggio, azioni militari, tra cui l’abbattimento d’un velivolo Fokker, propaganda e protezione dei militari alleati e sbandati. Buratti fa da collegamento con Roma. Qui, il 12 dicembre 1943, nei pressi del piazzale di ponte Milvio, viene tratto in arresto dai nazisti e condotto nell’Aussenkommando di via Tasso.
Le circostanze dell’arresto, soprattutto per quanto riguarda i responsabili della delazione, non sono mai state del tutto chiarite. Angelo La Bella vi scrisse un pamphlet, sua ultima opera, Chi tradì Mariano Buratti?, pubblicato venti anni fa. Per Aldo Laterza, l’arresto era avvenuto in virtù di quella bozza di costituzione posta all’attenzione di tutti il 25 Luglio, per cui Buratti era divenuto un nome noto per i nazifascisti che non ne avrebbero perciò perso le tracce.
In via Tasso, Buratti subiva orribili torture, senza però fornire agli aguzzini alcuna informazione utile a colpire la Resistenza.
Il 31 gennaio 1944, è condotto nel Forte Bravetta e fucilato assieme ad altri 9 combattenti partigiani ed antifascisti.
Scrive a tal proposito l’archivista e storico dell’occupazione nazista di Roma, Augusto Pompeo: « Molti, fra gli arrestati nei mesi di dicembre e di gennaio, saranno fucilati il 31 gennaio. Il 1° febbraio “Il Messaggero” comunica una fucilazione avvenuta il giorno precedente. L’esecuzione dei dieci ha tutto l’aspetto di una rappresaglia, e le vittime scelte rappresentano le formazioni che, in quel momento, sono ritenute le più pericolose: Enrico De Simone appartiene al Fronte militare clandestino della Resistenza, Paolo Renzi, Franco Sardone e Mariano Buratti al Partito d’azione, Vittorio Mallozzi al Pci, Raffaele Riva ai Cattolici comunisti, Mario Capecci, Augusto Latini e Giovanni Andreozzi al Movimento comunista d’Italia. Renato Traversi, invece, non appartiene a nessuna formazione partigiana. Negli ultimi istanti della sua vita, Mariano Buratti, sul terrapieno di forte Bravetta, guardando i volti arcigni degli ufficiali tedeschi e dei fucilatori italiani, ha sicuramente rivolto i suoi pensieri alla moglie Maria e al figlio Enzo ma, sicuramente, anche alla prima moglie incinta e alla figlioletta, morte prematuramente dieci anni prima.
I compagni apprendono la notizia dai giornali. È inverno: “Faceva freddo; sui viali della periferia tirava un vento diaccio che pigliava allo stomaco” (Vasco Pratolini)».
La notizia delle fucilazioni era stata appresa dai famigliari di Buratti per radio, interrompendo la regolare programmazione musicale: particolare inserito anche nella pellicola La Grande quercia, di Paolo Bianchini. Gli stessi famigliari che sarebbero riusciti a riconoscere la salma solo attraverso una protesi dentaria e dei brandelli di vestiario.
Con il Martirio di Buratti, la Banda dei Cimini assume il suo nome; avviene la fusione con il gruppo cospirativo di giovani viterbesi Italia indipendente, attivo già dall’inizio della Guerra. L’attività partigiana prosegue sino all’arrivo degli Alleati, il 9 giugno 1944.
Nel novembre, sulla prima pagina del primo numero de “Il Bulicame”, periodico allora espressione dei partiti antifascisti, con il titolo de Il Testamento politico di Mariano Buratti, viene pubblicato il testo della bozza di costituzione, messa a disposizione da Aldo Laterza, che ne avrebbe donato l’originale al Museo storico della Liberazione di Roma, in via Tasso, dove Buratti era stato detenuto e seviziato.
A Buratti viene conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: «Nobilissima tempra di patriota, valente ed appassionato educatore di spiriti e di intelletti. Raccoglieva intorno a sé, tra i monti del Viterbese, un primo nucleo di combattenti dal quale dovevano sorgere poi valorose formazioni partigiane. Primo fra i primi nelle imprese più rischiose, animando con l’esempio e la parola i suoi compagni di lotta, infliggeva perdite al nemico e riusciva ad abbattere un aereo avversario. Arrestato in seguito a vile delazione, dopo aver sopportato, con la fierezza dei forti e col silenzio dei martiri, indicibili torture, veniva barbaramente trucidato dai suoi aguzzini. Esempio purissimo di sublime amor di Patria — Monti del Viterbese – Roma, 31 gennaio 1944»
Il Liceo classico Umberto I, dove insegnava, viene intestato al suo nome, e da allora è tappa fondamentale durante le celebrazioni ufficiali del 25 Aprile.
Alla personalità di Mariano Buratti, in questi ottant’anni, sono stati dedicati intestazioni toponomastiche, monografie, certamen postali e quanto altro. È, nella sua immensa, umana drammaticità, la principale figura della Lotta partigiana nella Tuscia.
Riferimenti bibliografici essenziali:
Angelo La Bella, Chi tradì Mariano Buratti?, Storia di un processo svoltosi a Bologna nel 1948, che coinvolse anche Mauro De Mauro, Viterbo, Comitato provinciale Anpi, 2004.
Augusto Pompeo, Forte Bravetta, Una Fabbrica di morte dal Fascismo al Primo dopoguerra, Roma, Odradek, 2012, pp. 192-194.
Gerardo Severino, Enrico Fuselli, Mariano Buratti, Educatore, Partigiano, Medaglia d’oro al valor militare, Grotte di Castro, Annulli, 2022.




























