3 settembre 1850, una donna Rosa Papini a guidare il Trasporto della Macchina e fu un grande successo popolare

di Gianluca Braconcini

L’origine del Trasporto della Macchina va ricercata sicuramente nella traslazione solenne del corpo della giovane Rosa che avvenne, per volontà di papa Alessandro  IV, il 4 settembre nel 1258, dalla chiesa di Santa Maria del Poggio, l’attuale Crocetta, al convento di San Damiano, ora dedicato a Santa Rosa. Dopo questa breve processione, che durò qualche secolo, seguì un lungo periodo durante il quale non ci furono grandi manifestazioni di culto legate alla santa; il senso di religiosità dei viterbesi era ormai rivolto ad altre figure divine, come la Madonna Liberatrice e la Madonna della Quercia.
Col passare del tempo però la devozione cittadina rifiorì pian piano ma bisognerà attendere il 1664 per assistere ad un vero e proprio trionfale trasporto di una Macchina lungo le vie della città, come ringraziamento alla Patrona per aver liberato Viterbo dalla terribile pestilenza del 1657, e fu da quell’anno che la manifestazione venne anticipata al 3 settembre e la “mossa” doveva avvenire un’ora dopo il tramonto. Nel corso dei secoli da un semplice baldacchino sul quale era collocata la statua della santa, gli ideatori realizzarono modelli sempre più particolari nei quali venivano inserite altre strutture che oltre ad abbellire l’aspetto ne aumentavano l’altezza; inoltre dalle linee barocche si passò a quelle neoclassiche poi a linee gotiche legate al periodo in cui visse Santa Rosa ed infine negli ultimi anni ad elementi del passato reinterpretati in chiave moderna.
Durante gli innumerevoli trasporti si sono succeduti tanti avvenimenti, piacevoli e tragici, che hanno contribuito a formare la storia del campanile che cammina.
Tra questi vale la pena ricordarne uno curioso e particolare legato ad una figura femminile dal carattere forte e risoluto …si tratta di Rosa Papini.
Quando il marito Angelo muore nel 1850 lei vantava ormai oltre trent’anni di esperienza costruita stando vicina al coniuge costruttore; per Rosa la realizzazione delle parti in legno, gesso e cartapesta, la modellatura delle colonne, bassorilievi e cupolini così come l’illuminazione coi moccolotti ed i discorsi fatti dal marito come incitamento ai facchini prima del trasporto, non avevano nessun segreto; per cui, senza nessuna incertezza decide, su incarico del Comune, di proseguire l’opera del marito facendosi aiutare anche dai figli.
Dopo qualche riflessione fatta in famiglia, sceglie di riproporre il modello del 1840 e si mette subito all’opera rimboccandosi le maniche ed i lembi della lunga veste: si reca tutti i giorni al cantiere seguendo l’andamento dei lavori, comanda gli operai e dà loro le disposizioni su cosa e come farlo, si arrampica sulle scale col pennello in mano a dipingere, ritoccare e valutare come rimodellare e migliorare le figure…insomma un vero e proprio terremoto ai quali tutti gli operai tra facce e sguardi sconcertati dovettero, loro malgrado abituarsi. A quei tempi le donne legate alla Macchina, avevano ben altri ruoli e molti più dimessi: aiutavano i mariti facchini a vestirsi, rammendavano e ricucivano le spallette o i ciuffi e preparavano la merenda per il raduno pomeridiano in attesa del trasporto.Rosa Papini oltre ad avere delle buone attitudini nell’organizzare aveva anche delle ottime doti umane tanto da essere stimata ed ammirata dagli operai e dai suoi collaboratori per cui il trasporto del 3 settembre 1850 da lei guidato fu un grande successo popolare e lo volle dedicare al marito che dall’alto l’aveva sostenuta durante tutto il percorso. Forte dall’ approvazione conquistata da parte di tutti i viterbesi continua nel suo lavoro e realizza nel 1851 un disegno presentato dal figlio Raffaele ed approvato dal Comune. L’anno dopo ripropone un modello del 1825 ideato dal marito mentre la Macchina del 1853 è la stessa del 1830 ed infine dà l’addio a questa tradizione familiare nel 1854 costruendo un modello sul disegno del 1842. Il Comune decise poi di indire un nuovo concorso e Rosa non partecipò perché era certa che non avrebbe potuto vincere ed uscì definitivamente dalle scene nel 1855 quando si aggiudicò il posto Vincenzo Bordoni. Alcuni hanno scritto che in realtà lei non avesse comandato e guidato i cinque trasporti della Macchina ma che abbia lasciato a qualcun altro questo gravoso e difficile compito; malgrado fosse stimata per le sue capacità un gesto del genere potrebbe aver fatto gridare allo scandalo cittadino col rischio che i suoi comandi non venissero neanche ascoltati dai Facchini.
Questa donna grazie alla sua personalità determinata, alle sue doti, alla sua caparbietà ed al suo coraggio, riuscì a crearsi un ruolo da protagonista in un mondo prettamente maschile quale era quello dell’Ottocento.
.

*Cultore del dialetto e della storia viterbese

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI