Sparite da palazzo Spreca, ricomparse in un’asta pubblica nella Capitale, sequestrate ad un antiquario spoletino, trasferite di nuovo a Viterbo, ammirate in due mostre, depositate in una fredda ed umida sala del civico Museo,  pronte per tornare in Umbria. Le peripezie delle “Virtù Profane” sono invischiate da sei anni in un dannato valzer che coinvolge anche il Comune di Viterbo e l’antiquario spoletino, protagonisti di uno spigoloso per quanto lungo confronto giudiziario sulla proprietà delle opere. In sintesi, gli affreschi del XV° secolo che abbellivano lo storico immobile di proprietà comunale di via Santa Maria Egiziaca fatti sequestrare a Spoleto dalla magistratura nel 2012 a Spoleto dovranno tornare. E non per un bizzarro disguido della sorte, ma in base a una precisa ordinanza del Tribunale di Viterbo e subito accolta formalmente da palazzo dei Priori che lo scorso 2 novembre ha chiesto al titolare della ditta Umbria Sud, Emo Antinori Petrini, in qualità di nuovo ”custode delle 14 pitture”, di “effettuare con la massima sollecitudine il prelievo degli affreschi”. Un invito reiterato due giorni dopo dal sindaco Arena e resosi necessario per “consentire l’esecuzione degli improcrastinabili lavori di ristrutturazione (della sala museale; n.d.r.) per ragioni di sicurezza necessari ed urgenti”. In effetti il locale dove gli affreschi, ormai da anni, sono custoditi a terra e in teche di compensato è tutt’altro che idoneo ad una adeguata e dignitosa conservazione. L’ultimo atto è del 9 novembre: il Comune informa la Procura d Viterbo e la Soprintendenza Archeologia e Belle Arti che l’antiquario preleverà a breve gli affreschi. Precisamente dalle ore 9 di venerdì 16 novembre. Senza entrare nel merito dell’iter giudiziario, dal carteggio si può dedurre almeno che Emo Antinori Petrini intanto è stato nominato curatore delle Virtù Profane e che queste torneranno dove sono partite. Il loro futuro? Chissà. Il valzer non è ancora finito e fa immaginare altri vorticosi giri sulla pista fin troppo ampia e accogliente come quella viterbese.

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