Valentino D’Arcangeli ha fatto scoprire il mondo antico di Soriano nel Cimino

di Francesca Pontani

«E’ bastato anni fa che D’Arcangeli scrivesse un suo primo prezioso libro, perché Soriano e tutto il suo territorio avessero voce e, con la voce, valore e vita.

Studiosi diversi e di diversi paesi si sono alimentati a quei dati scientifici che egli evidenziava e proponeva. E, lungi dal soddisfare, le nuove conoscenze creavano nuovi problemi, spingendo a nuove ricerche, urgevano dentro per nuove risposte».

E’ dunque a questo punto che «le antiche pietre parlano, rivelando la storia di altri, scomparsi esseri umani, che nel breve o lungo loro periodo hanno lasciato una traccia.

Allora il tempo si dilata, passato a volte remotissimo e tempo presente si fondono magicamente per ciò che una persona come Valentino D’Arcangeli ha scoperto ed ha interpretato, grazie all’amore che ha mosso i suoi passi» (dalla Prefazione alla prima edizione V. D’Arcangeli, “Soriano nel Cimino nella storia e nell’arte”, Viterbo 1981).

 

Con queste parole è espresso in sintesi il grande valore di studioso e ricercatore del Maestro Valentino D’Arcangeli che con la sua curiosità iniziò, fin da ragazzo, ad osservare, scoprire e poi studiare le evidenze archeologiche del territorio di Soriano nel Cimino. Gole dalle pareti a strapiombo, profondi crepacci nel suolo, zone di boscaglia fitta ed intricata, prati e campi coltivati, verdi colline di un paesaggio che vede la presenza di ruderi e resti della frequentazione umana da epoca molto antica: è in questo territorio che Valentino D’Arcangeli ha individuato, disegnato, studiato (e quindi portato all’attenzione di tutti) monumenti, tombe rupestri, pietre scolpite, dando così inizio a studi scientifici sistematici mai condotti in precedenza.

 

Perché ha iniziato questo suo studio relativo alle evidenze archeologiche di Soriano nel Cimino?
Mio padre è morto che avevo 11 anni e lui era scultore, e un fratello più grande di me di 18 anni, anche lui morto prematuramente, era pittore: quindi l’arte e la sensibilità per quello che ci circonda lo abbiamo nel nostro DNA di famiglia.
Poi ho avuto un amico appassionato di storia, di arte e di letteratura. Quindi ci sono nato in mezzo a queste cose.

 

Dunque la sua è una passione che nasce da una serie di circostanze biografiche
Sì. Mi sono sempre trovato in mezzo a libri e mobili antichi. E da qui la curiosità anche per tutto ciò che di antico si trovava anche fuori, tra i boschi e le rocce.
Mio fratello girava per trovare soggetti interessanti da dipingere e così io ero piccolo e ho iniziato a scoprire gli angoli di storia antica intorno Soriano: le catacombe di Sant’Eutizio, la torre di Chia.
All’epoca in cui ero ragazzo io nessuna persona del posto “studiava” questi luoghi. Erano luoghi quasi sconosciuti.

 

Il suo libro “Soriano nel Cimino nella storia e nell’arte” è quindi il risultato di quanti anni di studio?
L’idea di scrivere qualcosa su Soriano l’ho sempre avuta fin da quando facevo il quarto ginnasio. E’ il lavoro di una vita.
Ho iniziato raccogliendo fotografie e cartoline fin da quando ero studente. Per cui mi sono trovato con una mole enorme di materiale di appunti e immagini. Poi nel 1964 successe che la diocesi di Orte organizzò per gli insegnanti di Soriano un corso di aggiornamento sull’arte antica di questo territorio, con particolare riferimento ai monumenti di carattere religioso. Il direttore del corso era il vescovo di Orte e Civita Castellana. C’era bisogno di qualcuno che potesse sviluppare la parte del corso relativa alla zona di Soriano e così mi affidò tutta la parte che riguardava la storia e l’arte di Soriano. Facevo vedere utilizzando il sistema di Alberto Manzi: un pennarello, un foglio di carta di disegno e mentre parlavo facevo vedere questi monumenti rupestri. Da qui una dispensa stampata dal ciclostilo e diffusa. E così poi si arrivò alla pubblicazione.

 

Questo suo lavoro ha sensibilizzato gli altri su questi temi?
Subito no, sul momento no. Però poi piano piano sono arrivati i frutti di questo mio impegno continuo nel raccontare e scrivere di questi luoghi. Infatti a Soriano nel Cimino nel corso del tempo si sono formate molte associazioni attive nella tutela di salvaguardia del patrimonio archeologico.

 

E quindi parlare di questi luoghi attraverso libri, pubblicazioni, conferenze secondo lei è servito per salvaguardarli oppure in qualche modo sono stati esposti a rischio maggiore di danneggiamento?
I rischi ci sarebbero stati comunque, ma la comunicazione scientifica è stata invece importante per valorizzarli. E poi soprattutto per lasciare almeno la traccia del paesaggio archeologico come era. Per esempio ho collaborato al volume “Tuscia viterbese” del 1968, la parte sull’arte l’ho scritta io e le foto soprattutto sono di importanza storica perché si vede come è cambiato il paesaggio, si vede lo stato di conservazione di alcuni dipinti.

Lei trova che oggi questa velocità di comunicazione aiuti lo studio, l’approfondimento oppure rimane sul superficiale?
Io sono rimasto dell’idea che il sistema migliore per capire e ricordare le cose è quello di usare la carta stampata. Perché si visualizza meglio, c’è una memoria visiva.

Luoghi  attraversati camminando per  passione  ma anche perché ne subiva l’atmosfera ?
Mi è sempre piaciuto quello che riguarda l’arte, la storia. Ci sono nato in mezzo. L’arte non è solo un bel vaso antico ma è anche un casale contadino. L’arte è dappertutto.
E quando verso la fine degli anni ’70 capitò qui in Italia il Prof. Prayon e capitò alla biblioteca e gli dettero questo mio libro, se l’è sfogliato e volle conoscere l’autore. L’autore gli dissero sta a Soriano e così venne qui e volle di persona conoscermi, volle che lo accompagnassi a fare dei sopralluoghi perché è un argomento che gli piaceva moltissimo e voleva svilupparlo. Poi negli anni nuovi sopralluoghi, chiacchierate fino al 2008 quando venne con il Prof. Steingräber e mi disse che era arrivato il momento di pubblicare tutto questo patrimonio.
Una pubblicazione importante perché dell’Etruria rupestre non se ne parla mai.
Di queste evidenze rupestri se ne parla poco, quasi considerate minori, mentre invece sono molto indicative della cultura etrusca interna.
Sono zone imbevute di civiltà, ogni sasso è vissuto. Una continuità di vita che raramente si trova in giro. Prendere un sasso antico e usarlo come architrave, fare la cantina riproducendo le linee di una tomba etrusca perché l’avevano sempre vista sotto gli occhi: una continuità culturale e di vita commovente.

 

Sulla base della sua esperienza di tutti questi anni cosa si potrebbe fare di più per dare una spinta alla valorizzazione di questo territorio? 

Secondo me i resti antichi sono talmente tanti che è problematico trovare una soluzione. Intanto molte cose sono all’interno di proprietà private e quindi non ci si può fare niente. Quelli che stanno nei boschi comunali tipo Corviano dovrebbero essere valorizzati dai Comuni, però io sarei contrario al turismo di massa. Perché i luoghi si deteriorano anche se si sta attentissimi a non buttare le cartacce.E’ la fruizione che consuma, allora poi devi recintare, però così perdi quell’atmosfera speciale, perdi la magia. Perché molto è dato dal fatto che tu nel bosco ti trovi all’improvviso di fronte questi luoghi. Se iniziamo a pulire, delimitare, sistemare perde tutto il senso dei monumenti antichi. Come sta accadendo per altri luoghi qui nel nostro territorio.

 

Foto a cura di Giuliana Zanni

 

Nel prossimo articolo andiamo a Tarquinia

Francesca Pontani* – www.francescapontani.it – Archeologa del comitato scientifico del Museo Archeologico delle Necropoli Rupestri di Barbarano Romano. Egittologa, conoscitrice di lingue antiche come i geroglifici, la lingua sumerica e accadica, la lingua etrusca, lavora nel mondo del web. Nel blog e sul canale YouTube ArcheoTime sono visibili le sue camminate archeologiche on the road. Innamorata della comunicazione e della scrittura, guiderà i lettori di TusciaUP nella conoscenza del nostro territorio attraverso Tour di Archeologia in Tuscia.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI