Porta il nome di chiesa di Santa Maria Nuova anche se anagraficamente è la più vecchia o tra le più vecchie di Viterbo. Per distinguerla, invece, dalla chiesa di Santa Maria della Cella, che effettivamente risulta ben più in là con gli anni, e il cui campanile ancora resiste in prossimità del più pubblicizzato e altero palazzo dei Papi, come a far da sentinella della propria storia. Le cronache della città raccontano che Santa Maria Nuova viene edificata poco prima dell’anno 1080 quasi certamente sulle fondamenta di un antico tempio pagano. Una chiesa con annesso ospedale per poveri e pellegrini. A tirarla su una famiglia viterbese: la gentil donna Sassa, madre di due preti di nome Biterbo e suo fratello Leone, e la moglie di quest’ultimo Carabona. La gestione della chiesa e dell’ospedale però si rivela da subito troppo problematica e comunque troppo onerosa per la pur pia famiglia che decide di passare la mano al Patrimonio ecclesiastico. Passaggio che avviene con una solenne cerimonia il 13 dicembre 1080 in piazza del Gesù che è il cuore pulsante della città. Sono presenti il vescovo di Toscanella al quale rispondono tutte le parrocchie di Viterbo, e un autentico esercito di preti, diaconi, frati. Perfino ostiari ed esorcisti. La singolare transazione avviene gratuitamente. I donatori pongono solo poche, ma chiare regole: che i canonici destinino all’ospedale la decima parte delle rendite della chiesa e delle donazioni; che gli stessi canonici si debbano accontentare di una frugale razione giornaliera di vitto; che vestano in modo più che sobrio. In definitiva, devono dedicare la loro totale esistenza esclusivamente al sostentamento dei poveri e alla cura dei malati. Una volta all’anno, in prossimità della pasqua, devono inoltre osservare il rito della lavanda dei piedi dei poverelli. L’ospedale non ha vita lunghissima e viene assorbito dalla chiesa che invece con il trascorrere degli anni assume un ruolo sempre più centrale in città, sotto il profilo religioso, ma anche politico. Certo Santa Maria Nuova ha una rilevanza assoluta anche in chiave artistica e legittimamente meriterebbe una più ampia e specifica attenzione che non qualche rapido accenno, come ci impone la ristrettezza dello spazio. Santa Maria Nuova diventa la sede deputata di Consigli cittadini più o meno rilevanti e anche deposito di veri e propri strumenti istituzionali. Una sorta di sancta sanctorum, un Tempio, al quale viene riconosciuta una spiccata leadership su tutti gli altri siti religiosi della città. Prova ne sono il forziere e l’urna del bussolo che nella chiesa vengono gelosamente custoditi. In un primo momento i forzieri in ferro battuto sono due. Contengono tutti gli atti pubblici che riguardano il Comune e gli atti privati più importanti. In altre parole, la chiesa diventa anche l’archivio della vita cittadina. Anche San Sisto avrà lo stesso ruolo, però soltanto per poco tempo. Le chiavi dei forzieri sono affidate ai priori dei quattro grandi quartieri in cui Viterbo è suddivisa: San Lorenzo, San Pietro, San Sisto, San Matteo di Sonza. Nel sedicesimo secolo le due casse di ferro vengono sostituite da una cassa ancora in ferro, ma più capiente e robusta, sempre all’interno della chiesa. Da qui, l’8 novembre 1574, viene trasferita nella cancelleria del Comune. Probabilmente per garantire una maggiore sicurezza rispetto alle turbolenze che ancora travagliano l’esistenza di Viterbo. Il forziere oltre a custodire atti pubblici e protocolli, contiene da sempre anche l’urna del bussolo. Che cos’è? Semplicemente un cofanetto con due borsette che hanno al loro interno delle “pallottole” di cera verde indicanti le cariche pubbliche che dovranno essere rinnovate e i nomi dei candidati interessati agli incarichi. Non è esattamente una tombola, ma vi si avvicina. Perché c’è una griglia concorrenti – oggi sarebbe una lista elettorale – che viene stabilita prima del sorteggio. E’ un rito impegnativo e spettacolare che si rinnova ogni volta che cambiano i vertici delle amministrazioni. Cioè in caso di nuove elezioni e rimpasti di governo. O magari soltanto per creare una nuova figura pubblica cittadina. Il protocollo prevede che il Podestà, i Priori seguiti da Valletti e dai Trombettieri, si rechino a passo cadenzato a Santa Maria Nuova per prendere in consegna l’urna del bussolo e trasportarla in processione, tra due ali di folla, al palazzo comunale dove avviene l’estrazione delle palline. Terminata l’operazione il forziere e il bussolo, tra il tripudio della gente soprattutto quella baciata dalla sorte, vengono riportati in chiesa. Una consuetudine che andrà avanti fino al 1574 allorché il forziere, con tutta la sua documentazione e l’urna del bussolo, troverà definitiva sistemazione all’interno dei locali municipali. Ma dove? Ed esiste ancora? Probabilmente dietro al doppio interrogativo non si cela alcun mistero, però sarebbe interessante saperlo. E magari, con i tempi che corrono, ricorrere ancora alle palline di cera verde potrebbe essere un’alterativa.
Santa Maria Nuova custodì fino al fino al 1574 il forziere e l’urna del bussolo di cui si sono poi perse le tracce
di Luciano Costantini
























