Monsignor Fabio Fabene: “Amo Montefiascone dove il microcosmo si svela in tutta la sua bellezza”

di Luciano Costantini

Monsignor Fabio Fabene

Una lama candida, luccicante, che taglia i confini dell’acqua, sopra una catena di colline appena offuscate da un sole cadente che fanno da corona. La cartolina del lago di Bolsena, vista Montefiascone, non offre neppure a sufficienza l’immagine di una bellezza mozzafiato. Uno scrigno assai conosciuto dai viterbesi, meno dai turisti per caso. Di fronte a questo spettacolo si illuminano gli occhi di monsignor Fabio Fabene, arcivescovo della Diocesi. Un sereno sorriso che è la più eloquente testimonianza di un amore infinito. “Ci può essere qualcosa di più bello?”. Poco o niente, in effetti. Per l’anagrafe Fabio Fabene è nato a Roma, 66 anni fa, ma si sente montefiasconese doc. E’ lui stesso, in un colloquio di oltre un’ora, a illustrare il curriculum vitae. “Ho studiato presso il seminario minore di Montefiascone, poi in quello regionale de La Quercia. Da diacono sono stato pro cancelliere della Curia di Viterbo. Nell’84 sono stato nominato cancelliere, fino all’88. Intanto avevo iniziato a studiare diritto all’università della Santa Croce a Roma. Ho collaborato con il vescovo monsignor Tagliaferri. Dopo ho ripreso gli studi, mi sono laureato in diritto canonico, vice parroco e parroco di Zepponami fino al ’97. Dal 2014 al 2017 vescovo titolare di Acquapendente, dal 2017 al 2021 vescovo titolare di Montefiascone, dal 2021 arcivescovo. Dallo stesso anno segretario della Congregazione delle cause dei santi. Ed eccoci qua”.

Alla fine, si considera più romano o viterbese?

“Mi sento uomo di questa terra, poi ovviamente nutro un affetto particolare per Roma perché ci sono nato, e a Roma è nato mio padre”.

Monsignore, lei vive e opera in uno dei posti più belli della provincia. In alto, a seicento metri, in una posizione privilegiata, da dove riesce a spaziare sull’intero territorio. Permetta una metafora: come vede la Tuscia oggi e come in prospettiva?

“Questa è una terra meravigliosa, dal punto di vista naturalistico, paesaggistico, storico, etnico perché da qui sono passate tante genti, tante civiltà si sono formate. Ho fondato il Festival dell’Ecologia Integrale proprio per la posizione geografica di Montefiascone. Da qui si domina un microcosmo: c’è il monte, la valle, la pianura, l’Amiata, il Cimino, il lago di Bolsena. Si contempla a trecentosessanta gradi tutta la creazione. Ecco la ricchezza di questo territorio, e va sviluppata, deve essere il volano anche per l’economia. L’avvio di un trend per lo sviluppo di tutti i settori: dall’alimentare, alle aziende ecologiche, della moda, dei tessuti, delle borse. Tante opportunità”.

E invece?

“Intanto il Nord della provincia di Viterbo mi pare in rallentamento, mentre il Sud, quello dall’altro versante dei Cimini, è sicuramente più vivace. Perché il Sud è più vicino a Roma e la sua influenza è fondamentale. C’è l’autostrada, c’è la Cassia bis fino a Monterosi, che sono infrastrutture decisive. Sono preoccupato, invece, per il futuro dei centri intorno al lago: Gradoli, Latera, Farnese, Ischia, Grotte di Castro. Mi chiedo se esisteranno ancora tra dieci, quindici anni. La loro popolazione si è dimezzata. Così come è accaduto per scuole e servizi”.

Come invertire la tendenza?

“Innanzi tutto servirebbero pubbliche amministrazioni di qualità che oggi non ci sono. Poi penso a un consorzio di centri che gravitano sul lago e invece riscontro molto campanilismo. Ognuno va avanti per proprio conto e mancano personalità che abbiano forza carismatica aggregante, come c’erano negli anni Sessanta e Settanta. A Montefiascone non c’è più nulla. L’ho anche detto nell’omelia per la festa di santa Margherita: questa città che era capofila del territorio, oggi ha perso tutto. Un territorio che è stato abbandonato, come del resto avvenuto a livello nazionale. Dall’ospedale all’ufficio erariale, a quello del registro, al tribunale”.

In lei, monsignore, prevale la speranza o lo scoramento?

“Attesa. Non c’è una politica di valorizzazione del territorio e allo stesso tempo manca la spinta verso la sua modernizzazione, cioè strade, parcheggi, ascensori, scale mobili. Siamo in una città arroccata”.

Neppure nei giovani vede segnali positivi?

“Non è facile dirlo. Sono bravi, sono buoni, sono sani, hanno famiglie legate ai valori e alle sane tradizioni. Ci sono certo motivi di speranza, ma non vedo impegno sociale e culturale. Con il Festival dell’Ecologia Integrale abbiamo lavorato tanto per avvicinare i giovani, ma non è andata come speravamo. I giovani di oggi sono individualisti in una società individualista”.

Lei ha scritto anche dei libri incentrati sul tema dei diritti. Sta pensando a un nuovo lavoro?

“Sì, sulla dottrina sociale a partire dalla Rerum Novarum. Tutti i pontefici hanno avuto a cuore il tema dei diritti. Giovanni Paolo II° si può definire il papa dei diritti umani. Montefiascone ha una sua vocazione educativa”.

In che senso?

“Qui a fine 1600 con il cardinale Barbarigo è nato il grande seminario, un polo di alto profilo culturale. Qui hanno insegnato docenti provenienti dalla Sorbona, dall’università di Roma, formavano il clero ma anche ragazzi del posto. Penso a santa Lucia Filippini, discepola dello stesso cardinale Barbarigo. Insieme hanno fondato le prime scuole popolari d‘Europa per bambine e donne. Ed è iniziata così la vera emancipazione. Penso al monastero delle Benedettine che fino agli anni Novanta ha avuto un istituto magistrale tra i migliori della provincia. Ancora, alla villa Salotti con la scuola d’arte. Era un autentico campus universitario con impianti sportivi, laboratori, perfino una avveniristica mensa self service. Ospitava trecento giovani, cioè una ricchezza per Montefiascone, e un punto di attrazione per ragazzi della bassa Toscana e dell’Umbria”.

Lei è segretario del Dicastero delle Cause dei Santi, segue quindi in primissima persona gli iter di beatificazione e canonizzazione.

“Un dicastero impegnativo e complesso. C’è la parte amministrativa, quella storica e la commissione medica e teologica che hanno il compito di accertare presunti miracoli”.

Anche in questo territorio ci sono cause aperte?

“Sì, ce ne sono diverse. Tre nella sola Montefiascone. La prima riguarda il cardinale Barbarigo ed è conclusa, si dovrà procedere alla beatificazione. Il vescovo emerito Fumagalli ha poi aperto e monsignor Piazza ha chiuso la causa diocesana di madre Maria Cecilia Baij, una benedettina vissuta qui nel 1700, una grande mistica. La terza causa riguarda padre Federico Polat, un padre concezionista, cioè figlio dell’Immacolata Concezione, che ha trascorso quasi tutta l’esistenza qui a Montefiascone. Amatissimo dalla gente. A Viterbo è in piedi la causa del beato Domenico Barberi, un passionista. E poi di un giovane, Luigi ‘Gigio’ Brutti. E’ una terra di santi, questa”.

E santa Rosa?

“Be’ santa Rosa è santa Rosa. Penso anche a santa Lucia Filippini, a san Bonaventura. Di santi ce ne sono tanti”.

Sul suo stemma c’è scritto: in communione gaudium”…

“Sì, gioia della comunione. Sono stato nominato tra i primi vescovi di papa Francesco nell’aprile del 2014. Durante i miei studi mi sono sempre concentrato nella comunione con Dio che è poi il concetto che Francesco, appunto, ha tradotto in sinodalità. E anche Leone XIV°, un agostiniano, sta molto insistendo sulla comunione”.

Tutti abbiamo dei sogni, monsignor Fabene che sogno ha?

“Di essere un buon vescovo. E che questo territorio riscopra le proprie radici. Culturali e profondamente cristiane, per i giovani di oggi e di domani”.

 

La Rocca di Montefiascone
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