Lo Scaffale/Passaggio in Sicilia. Con Onofri un viaggio nella memoria

La prima volta che ho visitato la Sicilia è stato in autostop, sicuramente molti dei giovani di oggi non ne conoscono il fascino. Per la mia generazione era l’idea della libertà, la strada come la vita erano davanti , bastava allungare la mano mettere il pollice alzato e sicuramente l’avventura aveva inizio. Ricordo ore interminabili sotto la calura di agosto sul raccordo anulare, poi capitava che magari con un po’ di fortuna un rappresentante di commercio ti offriva un passaggio fino a Salerno e cosi con auto , camion, bus fino a Messina. Arrivammo di notte piantammo la nostra piccola tenda dietro un distributore di benzina, alla mattina mi meravigliai nel vedere che eravamo circondati da palazzoni.

Da li fino alla bella Cefalù, la notte trascorsa nei sacchi a pelo sulla spiaggia, e un ragazzo inglese che ci metteva in guardia dagli “animals”,consiglio a cui non prestammo attenzione se non la mattina dopo quando ci ritrovammo coperti di formiche.Il viaggio proseguì in aliscafo fino alle Isole Eolie, niente di programmato era il caso a dettare il percorso.Solo anni dopo capii che quel momento di libertà fu irripetibile, poi la vita mi avrebbe risucchiato come l’acqua che esce dal lavandino. Al recente libro di Massimo Onofri Passaggio in Sicilia, letto in questo ultimo periodo, va il merito per le acquisizioni letterarie e le illuminazioni critiche, di aver risvegliato quei lontani ricordi, magari perché inconsciamente oggi come allora ho bisogno di ritrovare un passaggio integro non modificato. Il viaggio è l’espressione di un modo di essere, se ieri l’autostop era il mezzo per realizzarlo, oggi anche attraverso i libri si possono trovare momenti che ricongiungono a legami con posti o persone che conosci o ti pare di aver conosciuto per come ti sono entrati dentro, e ti emozionano perché il viaggio è anche una ricerca interiore.

Il libro di Onofri ha saputo suscitarmi un’infinita serie di emozioni vivacizzando i ricordi senza mitigare i sogni ovviando a quella che Onofri, in un altro libro, ha definito splendidamente come “modernità infelice.

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