L’altro Pasolini. Nell’anniversario della morte

 DI Rosella Lisoni

Pier Paolo Pasolini Autoritratto in veste di pittore

Nel giorno dell‘anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini  (2 novembre)vorrei ricordare il grande intellettuale del secolo scorso come colui che scelse di inseguire i sogni, le emozioni.

Il visionario, colui che in poesia, nel cinema, nei romanzi, negli articoli giornalistici, nei saggi celebrò la vita come evento miracoloso.

Restituire l’immagine sognante del grande intellettuale, quell’immagine di cui poco si parla.

L’immagine di un regista che si avvicina al cinema e, in pieno neorealismo, gira flm lirici, onirici, penso ad Accatone, in parte a Mamma Roma per approdare in seguito a film visionarie onirici come La terra vista dalla luna, Che cosa sono le nuvole o Il Fiore delle mille e una notte o a film celebrativi del sacro: non soltanto Il Vangelo secondo Matteo, ma anche La Ricotta o Teorema.

Mi piace ricordare Pasolini con lo sguardo rivolto verso il cielo, come i protagonisti del cortometragio Che cosa sono le nuvole i quali un attimo prima di morire rivolgendo lo sguardo verso le nuvole rendono grazia alla “stanziante meraviglia del creato”.

Pasolini che sceglie Chaplin come maestro, Pasolini che nei suoi film esalta il riso, egregiamente reso dal volto di Ninetto Davoli, sia in Uccellacci e uccellini che ne La sequenza del fiore di carta, ne Il Decameron,  ne I Racconti di Canterbury, ne Il fiore delle mille e una notte.

Riso isterico che è presente  sia nel terribile e stupendo Salò o le centoventi giornate di Sodoma che nel romanzo-allegoria Petrolio, romanzo la cui forma di vita risiede  nel suo fondamento umoristico al pari del film Salò o le centoventi giornate di Sodoma il quale venne pensato come  film comico, che non fu, sebbene la comicità in esso venne indirizzata verso il fondamento stesso del potere, un potere ridicolo e ridicolizzato.

La forma Petrolio ha infatti un fondamento umoristico, l’iscrizione che il protagonista Carlo legge ai piedi della statua: “ho eretto questa statua per ridere” può essere davvero interpretata come l’epigrafe di tutta l’opera.

Il riso  nei film pasoliniani rivela differenze individuali, di classe  e rimanda alla poesia popolare, a Rabelais, alla cui opera Pasolini attinge.

Mitologia popolare dunque e recupero da parte di Pasolini della filosofia di vita rabelaisiana, del suo pantagruelismo, della sua inalterabile voglia di vivere di fronte a qualsiasi incidente della vita quotidiana, vitalità egregiamente espressa nei film de La Trilogia della vita.

Se il riso in Rabelais è la vita stessa, esprime salute e gioia di essere ottimista, tutto ciò si ritrova in Pasolini come elemento tipico del mondo popolare in cui il denaro ancora non ha espresso la sua valenza distruttrice, penso alle prime prove di poesia: Poesie a Casarsa.

Quando la purezza e l’ingenuità del mondo primitivo, delle società arcaiche vengono meno e lasciano il posto all’ottica del guadagno, svanisce la capacità di ridere sostituita dall’ “illusione di povertà che sogna ricchezza e guadagno”.

Pasolini sembra suggerire che nell’uomo la capacità di vivere e di amare svanisce  quando  vita è assoggettata alla logica del denaro, ai dettami del capitalismo.

Nulla è perduto, indica il regista e come nel film I Racconti di Canterbury la verità spesso appare in sogno – già da Pascoli definito “infinita ombra del vero”- solo tramite esso è possibile recuperare i veri valori: “la verità non sta in un sogno, ma in molti sogni” si leggerà nell’epigrafe al film Il Fiore delle mlle e una notte, terzo film de La Trilogia della vita.

Sarà infatti grazie al recupero delle forze vitali, presenti nel mondo delle fiabe – Le Mille e una notte appunto – che si potrà raggiungere la felicità, recuperando lo stato primordiale e vivendo in armonia con la natura.

Il film si mostra come un insieme di sogni che si dissolvono l’uno nell’altro; sogno e gioco si palesano come i soli strumenti di lettura e di orientamento sebbene labili e insidiosi.

L’intellettuale graffiante, sincero che rivolgere il suo sguardo sul futuro prevedendone i suoi mali, colui che non teme di  gettare il suo corpo nella lotta non esita ad affidarsi ai sogni, alle visioni e a ricercare il sacro nell’evento miracoloso della vita quotidiana.

Sacro identificabile come chiave in grado di cogliere l’identità del mondo antico, gettando luce sul nostro mondo.

 

 

 

 

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