Julia Gianferri, modi di raccontare: “Niente prima e niente dopo”

di Julia Gianferri*

Questo problema si dimostra tale perché
ha una soluzione: è la dis – la dissoluzione.
Jacques Lacan,
Lettera di dissoluzione dell’E.F.P.

Si può realmente concepire qualcosa di incompiuto? – pensava. Qualcosa che non ricerchi una soluzione. È sincero il sentimento che ci spingerebbe a tal genere di inconcludenza?
Nicole era sul letto. Aveva appena pranzato. Un buon pasto. È importante mangiare bene per avere pensieri genuini. Con gli occhi fissava il lampadario e percorreva la linea sferica della lampadina, spenta, che toccava secondo la prospettiva offertagli un margine della struttura portante, in ferro battuto.
Rifletteva sul gesto che aveva appena compiuto. Mentre le vene facevano difficoltà a sbollentarsi ed il corpo entrava in quest’altra dimensione. Quella in cui gli aveva scritto.
Il contenuto del messaggio? Un biglietto per un concerto. E la seguente indicazione, come a tracciare la mappa di un tesoro. Un testo scarno, edulcorato all’apparenza:
Vieni al concerto.
Una clausola soltanto: non voglio parlare.
Niente prima e niente dopo.
L’avrebbe compresa, l’inutile importanza che Nicole attribuiva all’invito? Confidava di sì. Era
proprio l’inutile la chiave di volta. Portatore di una qualità che in questa circostanza le sarebbe venuta in soccorso, esso azzerava l’utilizzabilità del linguaggio, restituendo così quel ruolo perturbante all’arte che alcuni eventi tra loro avevano rovinato. L’arte era franata, rovinata.
L’irreparabilità aveva avuto la meglio. Così Nicole aveva ipotizzato: contrapporre l’irreparabile all’incompiuto per mantenere intatto l’essenziale, dentro di sé.
Una scheggia improvvisamente interrompe la sua traiettoria e invece di ferire rimane sospesa nell’aria, finché non cade a terra, inanime. E che a nessuno importi di raccoglierla. Col rischio di essere pestata da piedi nudi.
Lui non avrebbe risposto – pensava Nicole. Non sarebbe nemmeno venuto. Quanto è scialbo il valore che la nostra dignità ci costringe ad attribuire ai gesti inutili. Lei, la dignità, che viaggia nel tempo col desiderio di rimanere intatta, incontra l’impopolare e, contro la sua volontà, lo vuole sanare. Così il suo invito, seguito da completi silenzi, sarebbe passato per un atto folle e insano.
Con ferma decisione Nicole si impediva di crederci. Con una sutura lenta e inavvicinabile separava quel gesto dalla sua identità.
Al concerto mancava qualche giorno. Il biglietto che aveva mandato a Milo l’aveva comprato da un amico impossibilitato ad andarci. Pensarci più del dovuto, tuttavia, non le era concesso. Avrebbe trovato il modo di attribuirgli un senso provvisto di dovuti significanti. Lui glie l’avrebbe letto nello sguardo.
Il biglietto incriminante era per il concerto di Damien Rice (nella foto). Non sapeva se l’avesse mai ascoltato, non ne avevano mai parlato. Era sottile la linea che poteva decretare se gli sarebbe piaciuto o meno.
Se la funzione del linguaggio è quella di indicare, e non di evocare, e se l’arte al contempo non vuole dire nulla, non esprime, ma indica anch’essa solamente. Se adesso tutto quello che vedeva Nicole davanti a sé era il serpentone maculato di individui che portava all’ingresso del concerto.
Avvertiva l’ineluttabilità degli eventi, un’irrimediabilità che la predisponeva ad ogni evenienza, soprattutto la peggiore.
Damien inizia a suonare. La voce di Silvia Pérez Cruz, venerea cantante spagnola, accompagna dolcemente alcune composizioni. Su ogni spettatore cala un velo di intima attenzione, un velo di intima organza per ognuno. La probabilità che proprio la persona accanto o dietro di te abbia fatto scivolare a terra il suo e cominci a ridere con l’astante per qualsiasi cosa, rovinando l’introspezione generale, o forse solo la tua, è spesso proporzionale al tuo grado di coinvolgimento.
L’irritazione per il profetizzato accaduto si stava placando da sola quando improvvisamente Nicole alza gli occhi e mette a fuoco. Mette a fuoco, mentre il resto ondeggia nei veli di organza che fluttuano come onde sopra il capo di tutti. Mette a fuoco e lui non ce l’ha, il velo. Perché lui è li e non è ancora sotto il suo, forse non se l’è mai messo.
Tutto il presente dinnanzi prova a franare come franata era l’arte tra loro, ma non ce la fa. Milo è davanti a lei, la osserva. Economizzando la mimica facciale si volta verso il palco e inizia ad ascoltare gli arrangiamenti musicali solo adesso.
Cosa potrebbe essere più convincente del gesto di mettere le carte scoperte sul tavolo? Per dirla con Lacan. Tutti stavano rispettando le proprie volontà con limpida accortezza, non è vero?
Nicole temeva il tempo che sarebbe trascorso dopo la constatazione che entrambi fossero in quello spazio. Se c’è una cosa che lui gli aveva ripetuto spesso, però, era che occorresse fare i conti con lo spazio che si occupa. Una frase che lei non aveva mai compreso davvero, le sfuggiva il senso o il valore attribuito alla materia. Quel tuo modo di andare a tempo con lo spazio, pensava mentre lo guardava.
Stiamo andando a tempo con lo spazio, Milo.
Niente prima e niente dopo.

 

L’autrice

Julia Gianferri è nata a Roma nel 1994. Cresce alle pendici di Montefiascone, accolta da una realtà semplice e genuina. Si laurea in Lettere Moderne all’Università di Bologna e prosegue gli studi in ambito cinematografico. Alcune sue poesie sono apparse in diverse testate online. Facendo sua la frase di Gustave Flaubert: “Scrivere è un modo di vivere” sognando che “Scrivere è pure un modo di leggere”. Si mette alla prova nel racconto breve, cercando uno spazio di narrazione più addensato e per questo più intimo.

 

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI