FuoriPorta/ “Dal più forte al più fragile” la pittura perfetta di Alessandra Meschini

Negli spazi di Micro Arte Visive in viale Mazzini a Roma è in corso una mostra dedicata all’iperrealismo intitolata “Dal più forte al più fragile” che, propone una selezione di oltre dieci dipinti della restauratrice Alessandra Meschini, artista dalla pittura così minuziosa da ottenere risultati di grande effetto e dalla precisione quasi fotografica. È emozionante come il suo pennello riesca a restituire fedelmente la realtà nei suoi minimi dettagli. La mostra curata da Paola Valori è stata inaugura giovedì 4 maggio. L’esposizione rimane aperta fino all’11 maggio prossimo nei seguenti orari: mattina:10-13 / pomeriggio: 15-19 (domenica e lunedì mattin arimane chiusa). Indirizzo: Viale Mazzini,1 Roma www.microartivisive.it

Presentazione a cura della poetessa Maria Teresa Muratore
La pitttura di Alessandra Meschini, di origini viterbesi per parte paterna è perfetta e bizzarra. Le diresti nature morte e non lo sono, sono le povere cose di tutti i giorni come il tubetto di colore un po’spremuto, anzi talvolta gli scarti come il guscio dell’uovo, e poi ci sono i vetri, i cristalli. Le fragole nel loro contenitore di plastica sono così perfette da sembrare una fotografia, da toglierti anche la fantasia di immaginarle perché sono lì quasi vere quasi tentanti di toglierne una dal contenitore e mangiarla senza neanche lavarla tanto è invitante. Il tubetto di colore malamente spremuto è accartocciato nel suo dolore esistenziale, il guscio dell’uovo ha appena dato tutto quello che poteva dare, tutto se stesso, ancora non è stato gettato via e giace lì in tutta la sua struggente bellezza, senza ombra, sospeso nel vuoto. I vetri, con la loro incredibile trasparenza e i loro riflessi, con la loro luminosità, talvolta sono connubio di antico e moderno quando riflettono un bucchero e da un altro si lasciano attraversare, potenza infinita di questa fragilità. Una zucca aspetta di essere lavorata, uno spicchio di zucca, non sappiamo se è ciò che resta di una precedente lavorazione o se è stata comprata così, per la necessità, ma è pronta e si offre e il suo corpo, essere vivente, ha un’ombra sul tavolo che la ospita e le immaginiamo per cornice una cucina con aurea di sapore di vissuto. Una lattiera d’argento e un mandarino sono come sospesi nel vuoto, e il mandarino gioca a specchiarsi nel bricco o forse lo fa suo malgrado pensando solo di mettersi in bella mostra di fronte all’occhio dell’osservatore. Così la bizzarria del pittore mette in chiacchiere un lume e un vaso di cuunesi forse a ricreare un intimo ricordo un’atmosfera familiare di altri tempi con un cuunese lasciato da solo come se una mano golosa l’avesse carpito e poi se ne fosse pentita e l’avesse abbandonato. E la fruttiera di vetro con le arance, è stata appena tolta dalla tavola apparecchiata, segna la fine del pranzo, il commiato dalla tavola. Ma i vetri e i cristalli, sia che provengano anch’essi dalla tavola sia che siano strani alambicchi raccontano con la loro eleganza una favola, si riflettono uno nell’altro, con una continuità ininterrotta, e rispecchiano una finestra, una finestra reale che può essere anche però una finestra sulla vita, una spiraglio di infinito, una luce di sogno, una magia.

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