Filippo Graziani, l’artigiano calzolaio di Caprarola ai piedi delle star

Donatella Agostini

Ci sono un papà e la sua bambina che stanno guardando un vecchio film, “La ragazza di Bube” di Comencini. Ad un tratto, il padre indica a sua figlia la protagonista: «Vedi? Quella bella attrice si chiama Claudia Cardinale. E i sandali che sta indossando li ha fatti il tuo papà, quando aveva soltanto sedici anni». Il papà orgoglioso che una sera di tanti anni fa stupì sua figlia è Filippo Graziani, classe 1944, artigiano calzolaio di Caprarola. Una vita dedicata all’artigianato – quello prezioso e ora divenuto raro della calzoleria – e all’arte delle sette note. Una vita che ha conosciuto le luci riflesse della Dolce Vita romana, e i lustrini di una breve ma intensa carriera di musicista.
Le mani abili di Graziani ne hanno molte da raccontare. Di quando ancora scolaretto di terza elementare, dopo la scuola andava ad apprendere il mestiere da un calzolaio, secondo la consuetudine del tempo. «C’era questo banchetto a scomparti in un piccolo sottoscala, pieno di chiodini metallici di tutte le misure. Ero un bambino svelto ad imparare. Si faceva tutto a mano, con filo, spago, cera vergine, pece. Si preparavano i collanti. Non c’erano le macchine. Si imparava il mestiere, ed era quella la paga: di soldi non se ne vedevano». Soldi che avrebbero fatto comodo alla famiglia di Filippo: padre contadino, nessuno stipendio fisso, nove bocche in tutto da sfamare. Per fortuna c’era la musica: una chitarra, un mandolino imbracciato dal padre, e la voglia di andarsi a prendere un futuro migliore. E qualcosa da mangiare sul tavolo si trovava sempre.
A tredici anni, Filippo va a lavorare a Roma, nella prestigiosa via Sistina. «Il calzaturificio era di proprietà di un certo sig. Petrocchi, e serviva attori, attrici, registi e produttori. – Da grande potrai raccontare ai tuoi figli che hai fatto le scarpe per i famosi – mi diceva». Petrocchi era il cugino di Ennio Morricone, che allora era soltanto un ragazzo appena diplomato. «Il mio capo sapeva che mi piaceva suonare: un giorno me lo presentò e scherzando gli disse: occhio, Ennio, questo ragazzo ti farà concorrenza. Adesso a ripensarci mi viene da sorridere». Da Petrocchi Filippo impara la vera arte calzaturiera. «Ricordo che era solito dire: – L’abito non fa il monaco, la scarpa sì. Realizzavamo calzature di alta moda, e bellissime scarpe da sposa in seta bianca. Per evitare di sporcarle, lavoravamo con i guanti. Era un posto in cui regnava una disciplina quasi militare, e io ero come un soldato semplice». La vita nella metropoli però non faceva per Filippo, che sentiva nostalgia di casa e della famiglia.
Tornò a Caprarola senza rimpianti, e per otto anni abbandonò la calzoleria per abbracciare l’altra sua grande passione: la musica. «Ero entrato a far parte di un buon gruppo e suonavamo soul, rithm and blues. Abbiamo anche inciso un disco. Facevamo da gruppo spalla e aprivamo i concerti di Rita Pavone, di Claudio Villa, di Little Tony. Abbiamo suonato in tutta Italia. Fu un bellissimo periodo». Filippo però deve fare i conti con la realtà e si rende conto che non si può permettere di proseguire la carriera di musicista. «In campo musicale, o studi duramente e puoi sperare di diventare famoso, o rimani quello che sei. E io non potevo studiare. Così sono tornato dalle mie scarpe». Che per lui non sono mai state un ripiego, ma l’esercizio di una grande passione. Filippo Graziani si specializza in scarpe per persone con problemi ortopedici. «Perché l’ortopedia? Perché è affascinante, è una sfida delicata che vinco ogni giorno, mettendo insieme efficacia terapeutica e gusto estetico. Un tempo una scarpa ortopedica non era esattamente sinonimo di bella scarpa. Oggi i compratori sono più esigenti, e guardano molto più all’aspetto estetico di una calzatura». Sul bancone della sua bottega trovano posto infatti un paio di bellissimi stivaletti in pelle scarlatta. Non si direbbe che sono per una giovane donna con problemi ortopedici: non c’è alcuna differenza con un paio di normali calzature alla moda. Filippo ci mostra il modo in cui realizza il disegno su carta, sulla base della prescrizione medica. Modella la morbida pelle su uno sbozzo in resina, la taglia sapientemente a mano con un trincetto, la borda e cuce il tutto. Manovre difficili da fare per i non esperti, ma che per lui sono una sorta di danza manuale che ripete con passione da quasi settant’anni. «Un tempo lo chiamavano il mestiere dei poveri. E fino agli anni Sessanta, qui nella zona di Caprarola e Ronciglione c’erano tantissimi calzolai. Non c’erano fabbriche, si faceva tutto a mano. Oggi? Oggi è un problema per tutti i lavori artigianali. I ragazzi escono da scuola a vent’anni. Troppi per imparare veramente bene un mestiere. Troppe le complicazioni burocratiche che impediscono ai ragazzi di avvicinarsi per tempo all’artigianato. Ed è negativo anche l’atteggiamento della nostra società, che li vuole per forza tutti laureati». Filippo ha avuto due figlie, che gli hanno dato due nipotine. Un harem in cui si sente padre e nonno felice. «Quante scarpe ho fatto per le mie figlie e poi per le mie nipoti!», conclude sorridendo. «Sono tutte molto esigenti. Ma per me è un divertimento accontentarle». E la musica, Filippo? «La musica c’è ancora», confessa. Perché Graziani va ancora a suonare con il suo gruppo, e non vi rinuncerebbe per nulla al mondo. E sulle pareti della sua bottega di Caprarola, accanto ai disegnini infantili delle nipoti, vi sono le foto incorniciate in bianco e nero di un’orchestra di giovani musicisti pieni di belle speranze. Tra di loro, un Filippo giovane e sorridente. Che si è andato a prendere il suo futuro migliore.

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