Filastrocca viterbese, le festività di dicembre evocate da Gianluca Braconcini

di Gianluca Braconcini*

‘L primo decèmbre adè Sant’Anzàno, ‘l due Santa Bibbiana, ‘l quattro Santa Bàrbera beata,   ‘l sèe Sannicòla pi la via, ‘l sette Sant’Ambròcio, l’otto la Cuncizzióne de Maria. ‘L nove San Chéto Chéto, ‘l dièce la Madonna de Luréto, ‘l dódece addeggiunàmo chi ‘l trédece adè Santa Lucia. ‘L vintùno San Tomàsso strilla e ‘l vintiquattro se magna l’anguilla (…’l vintùno San Tomasso canta, ‘l vinticinque la Nacita Santa…), ‘l vintòtto so’ l’Innucintìne e so’ fenìte le feste e le quatrine, a la fine lesto lesto si ni vène San Silvestro.

* Con questa filastrocca viterbese vengono passate in rassegna le principali festività di
Dicembre. Nel nuovo calendario liturgico però alcuni santi non sono più ricordati nei giorni indicati dalla filastrocca ma le loro ricorrenze sono state soppresse o spostate in altre date.
Tra i viterbesi più vecchi, rimane ancora il ricordo di un banditore che la sera del 9 dicembre, passando per le vie della città, avvertiva gli abitanti che il giorno dopo sarebbe stata la festa della Madonna di Loreto e bisognava prepararsi per “assistere” al suo volo notturno. Per attirare l’attenzione camminava lentamente battendo delle campanelle su una tavola che teneva in mano e per la sua andatura “lemme lemme”, fu soprannominato “Chéto Chéto”, da cui probabilmente San Chéto Chéto. C’è da segnalare però che nella versione toscana del proverbio si dice: “…il nove mi cheto ché domani è la Madonna di Loreto…”. La notte tra il 9 ed il 10 dicembre si credeva che la Madonna stessa volasse a Sirolo scortata dagli angeli per riprendersi il Figlio. Nella nostra tradizione rurale, così come in quella di altre regioni, i contadini un tempo accendevano dei fuochi nelle campagne per illuminare la strada agli angeli e per festeggiare questo passaggio sparavano in aria colpi di fucile. Mio nonno, classe 1911, mi raccontava che anche la sua famiglia per tradizione, con l’aiuto di altri contadini dei casali vicini, preparava un grande falò sull’aia. Dopo averlo acceso si riunivano tutti intorno pregando e cantando canzoni dedicate alla Madonna; alla fine i colpi dello “schioppo” risuonavano nel buio della notte. Le ceneri del fuoco erano poi sparse intorno al casale come segno di protezione.

*Cultore del dialetto e delle storie viterbesi

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