Cosa c’entra l’orto con la sinergia della vita?

di Simone Luniddi*

La prima domanda che viene in mente è: ma che vuol dire sinergico? Cosa c’entra con l’orto?
Si tratta di far lavorare piante e terreno insieme, in sinergia, con forza condivisa, per fare dell’etimologia dal greco: le piante nutrono il terreno, e il terreno nutre le piante. Non solo un principio di armonia da indagare, ma materia di una vera e propria scienza che studia il complesso rapporto tra i microrganismi che vivono nel terreno, i minerali, l’ossigeno, l’acqua, e come questo insieme possa far prosperare piante da orto in modo pari a quello delle più sofisticate tecniche agronomiche convenzionali, sostenute da interventi con sostanze chimiche di sintesi.
Nasce dunque il concetto di “orto sinergico”, cioè un orto autofertile, che si mantiene per un tempo indefinito. Il termine venne coniato per la prima volta dall’agronoma spagnola Emilia Hazelip (Barcellona, 18 luglio 1937 – Carcassonne, 2 febbraio 2003) che già da anni ricercava metodi di coltivazione naturali e la cui ammirazione fu rivolta agli scritti di un grande microbiologo giapponese, Masanobu Fukuoka ( 2 febbraio 1913 – 16 agosto 2008), secondo il quale il miglior metodo agricolo era il wu wei, il “non fare”, ovvero coltivare senza l’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti riducendo al minimo i propri sforzi e lasciando alla natura il compito di rigenerarsi senza alcun intervento da parte dell’uomo.

Nella foto: Emilia Hazelp

Dopo aver diffuso tale pratica in Europa, Emilia capì che le tecniche spiegate da Fukuoka non erano affatto applicabili a climi secchi e mediterranei e attuò delle modifiche dichiarando, come afferma nel suo libro “Agricoltura Sinergica”, che non esiste un metodo universale per la coltivazione sinergica, ma degli adattamenti alla tipologia di suolo e di clima che devono essere studiati con attenzione, così come sono necessari una profonda conoscenza della biologia del terreno e delle complesse interazioni tra batteri, elementi minerali, ossigeno, acqua. Non sono esclusi da queste considerazioni funghi e radici delle piante, la cui unione dà origine ad associazioni simbiotiche: le micorrize.
Suddivise in Ecto e in Endo micorrize, il loro effetto principale consiste nell’aumento della superficie e del volume radicale in percentuali molto superiori rispetto ad un apparato radicale non micorrizzato. La micorrizzazione comporta un incremento della capacità di assorbimento di acqua e dei nutrienti conferendo un ottimo vigore alle piante, soprattutto in condizioni di bassa fertilità del suolo, una più alta resistenza alla siccità e alla salinità, una maggiore tolleranza ai metalli pesanti (mercurio, arsenico, piombo, cromo) presenti nel suolo, nonché la creazione di una barriera meccanica nei confronti di funghi patogeni.

Il principale metodo per effettuare la micorrizzazione è l’inoculo, che consiste nel porre le spore a diretto contatto con le radici delle piante mischiandole ai terricci di radicazione o delimitandole nel terreno dove si svilupperanno le radici della futura pianta. In questo modo il fungo potrà legarsi facilmente ad essa ed instaurare la simbiosi in tempi abbastanza rapidi.
Questi inoculi sono composti da una matrice organica e/o inorganica, da funghi simbionti, da funghi saprofiti e da PGPR (Plant Growth Promoting Rhizobacteria).

Dunque tutto ciò che avviene nel sottosuolo è frutto di una complessa combinazione di elementi che operano in completa sinergia tra di loro, nonostante il loro operato venga spesso alterato da alcuni fattori tra cui: il pH del terreno, l’elevata disponibilità di elementi nutritivi, il trattamento del suolo con agrofarmaci come fumiganti o fungicidi, così come gli avvicendamenti colturali e le frequenti lavorazioni del terreno che nel caso dei funghi micorrizici comportano danni alle ife (filamenti unicellulari o pluricellulari che formano il micelio, ossia il corpo vegetativo dei funghi) con conseguente riduzione della loro attività e minore colonizzazione degli apparati radicali.
In conclusione, l’impiego di funghi micorrizici può rappresentare un valido approccio per ridurre l’applicazione di fertilizzanti chimici richiesti per ottenere alti profitti, assicurando gli stessi livelli di produzione e riducendo la perdita di nutrienti (azoto in particolare) nell’ambiente, con ricadute positive sia sul bilancio aziendale sia sull’eco-sistema.

*Progetto In O.R.T.O. Servizio Civile Nazionale, Soriano nel Cimino.

https://www.arsacweb.it

L’agricoltura del non fare di Masanobu Fukuoka


https://www.huffingtopost.it/…/10/orto-fukuoka-hazelip-houzz
https://it.wikipedia.org/wiki/Masanobu_Fukuoka…

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI