Alice Fiorentini: “Amo l’arte in tutte le sue forme espressive”

di Giulia Marchetti

“Credo che nella vita sia impossibile reprimere le proprie inclinazioni o passioni. Se sono grandi abbastanza, scalpiteranno al punto di trovare la strada giusta per manifestarsi”

È la premessa di Alice Fiorentini, 23 anni, viterbese, nata e cresciuta nel piccolo principato di San Martino al Cimino. Non è figlia d’arte, tuttavia nel suo contesto familiare altre forme di creatività si manifestano in modo alternativo, nella cura dei rapporti umani e nell’uso dei materiali di costruzione. Sua madre Chiara, infatti, pratica l’arte dell’accoglienza turistica mentre il padre Italo si esprime nelle architetture in legno.

Esile, dai tratti chiari e dal portamento elegante, Alice frequenta Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, portando avanti parallelamente gli studi di danza e recitazione. L’abbiamo incontrata in una calda mattina di questo agosto e ci ha raccontato della sua creatività, del suo cammino accentrato in  tutta la voglia di essere sé stessa.

Quando hai capito che l’arte sarebbe stata una componente fondamentale della tua vita?
Sin da piccola sono stata sempre incline a molte forme d’arte e di espressione in genere. Mi piaceva creare, disegnare, scrivere… Mia madre, dal canto suo, stimolava me e mio fratello a praticare molti sport o attività artistiche che in qualche maniera ci facessero divertire, pur formandoci in molte direzioni. È così che sin da bambini io e mio fratello Mattia abbiamo iniziato a studiare pianoforte e danza.

Come si è manifestato il desiderio di esibirti?

In realtà, tutto è nato come un gioco. Con i cugini, per lo più coetanei, ci piaceva inscenare degli spettacolini per le nostre famiglie. Piccole rappresentazioni teatrali o performance improvvisate, con tanto di trucchi e travestimenti. A pensarci ora, quel gioco era un’inconsapevole anticipazione di quello che sarebbe diventata la mia passione futura.

E invece la scoperta della passione per il teatro?

Il tutto è avvenuto in occasione di un viaggio negli Stati Uniti, a Los Angeles, la culla del cinema mondiale. Mio fratello, che ha appena un anno più di me, aveva iniziato un corso di teatro al liceo e, durante la nostra permanenza in America, mi ha spinto a frequentare insieme un corso di recitazione.

Avevo 16 anni ed è stata per me un’esperienza straordinaria. Difatti, a dispetto della disinvoltura nelle mie attività artistiche infantili, da teenager avevo iniziato a chiudermi in me stessa. Ma grazie alla recitazione ho spalancato di nuovo tutte le mie porte, lasciando defluire quei sentimenti e quelle emozioni che sentivo arginate dentro di me. La componente emotiva ed empatica che mi caratterizza, ha pertanto ora assunto una connotazione positiva, trasformando la mia interiorità in un pozzo da cui attingere per trasmettere emozioni.

Non finisce qui. Poi è arrivata la danza?

Ho iniziato gioco-danza quando avevo 3 anni, poi dai 7 anni ho intrapreso danza classica. Ma è solo con l’approccio alla danza contemporanea che si è consolidata in me la mia passione per il ballo. Questa forma espressiva del corpo, basata su movimenti liberi e improvvisazione, permette di esprimere al meglio il mio stile. Uno stile molto più vicino al teatro-danza, disciplina ancora poco diffusa in Italia.

Al momento studio recitazione e danza separatamente, sperando un giorno di fondere queste due espressioni artistiche in un’unica figura professionale.

Sei stata sostenuta dalla tua famiglia? Chi ha creduto in te?

Ho ricevuto molta fiducia da parte dei miei genitori. Mia madre, in particolare, mi ha sempre incoraggiata a frequentare le lezioni di danza anche quando ero stressata dallo studio. Se c’è la fiducia dei genitori è più facile inseguire una passione.

Quando hai capito di dover studiare teatro in modo continuativo?

Dopo aver ripetuto l’esperienza alla New York Film Academy, frequentando anche un corso di regia, nuovamente grazie a mio fratello Mattia, ho partecipato ad un workshop di teatro tenuto da Sergio Urbani. Questa esperienza è stata molto intensa per me, al punto da scatenare profonde emozioni tradotte anche in pianti. Da qui la decisione di intraprendere un percorso continuativo di teatro con  lo stesso insegnante. Attualmente Sergio Urbani è il formatore, regista di spettacoli e direttore della compagnia in cui recito, ossia compagnia THEATR.ES.

Cosa rappresentano oggi  per te la danza e il teatro?

Sono una forma d’espressione che è divenuta quasi una necessità. Solitamente nella vita ordinaria non riesco ad esternare appieno le mie emozioni, specialmente nei rapporti interpersonali. Attraverso la danza e la recitazione ritrovo invece quella assoluta libertà che è poi l’estensione di me stessa.

Entrare in scena è il mio modo per trasmettere qualcosa. E quando il pubblico mi restituisce un feedback positivo so di aver compiuto il mio sogno.

Quale è stata la tua prima esperienza sul palco?

È stata con una parte minore nel Faust di Marlowe, al Rivellino di Tuscania, pochi mesi dopo aver iniziato con la compagnia THEATR.ES.  È stato molto emozionate. Per questo voglio continuare a studiare aspirando a interpretazioni sempre più complesse.

Il ruolo più emozionante che ti è stato assegnato?
Sicuramente nello spettacolo Il campo dei sogni rubati, nel quale ho recitato e ballato insieme al primo ballerino di una compagnia di Broadway. Questa interpretazione mi ha permesso per la prima volta di andare in scena contemporaneamente con il teatro e la danza, cosa che avevo fatto sempre separatamente.

 E il personaggio che più hai sentito tuo?

Ofelia per l’Amleto di Shakespeare, anche se siamo alle prove e  lo spettacolo non è ancora andato in scena.  Ofelia è un personaggio bellissimo a cui mi sono dedicata molto per sondarne la psiche. Con il gruppo della compagnia sto trovando delle dinamiche meravigliose, e in questo spettacolo ci sarà anche mio fratello Mattia nelle vesti di Re Claudio.

Cosa stai facendo oggi e quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Al momento, oltre alla recitazione, sto frequentando dei master di danza e sto partecipando a dei concorsi coreografici. Dicembre scorso ho realizzato un pezzo sui bambini soldato e a giugno su un brano di Fabrizio De Andrè, L’infanzia di Maria. Creare coreografie è molto appagante e una grande forma di evasione.

Qual è il tuo sogno più grande?

Lavorare nell’ambito artistico potendo coniugare il più possibile le varie forme d’arte.  Creare coreografie che mi permettano di spaziare dalla danza al teatro, inserendo brevi componimenti al pianoforte.

La frase che più mi ispira è quella del mio formatore Sergio Urbani: “Il lavoro è la mia mente”.

La mente creativa infatti, anche quando si rilassa, in realtà continua a lavorare, perché è capace di dar vita ad un prodotto intellettuale, che può essere una coreografia o un’altra forma artistica.

 

Una domanda a bruciapelo. Se passa un treno pensi: «Intanto io ci salgo su, poi semmai imparo strada facendo». Oppure aspetti la prossima fermata?

Fino a poco tempo fa avrei aspettato, perché avevo paura di non farcela. Ma più vado avanti e più capisco che voglio fare questo nella vita. Quindi io intanto salgo sul treno e prendo le occasioni al volo!

In questa estate particolarmente afosa possiamo definire l’incontro con Alice Fiorentini una boccata d’aria fresca. 

 

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