Un amico, padre di tre figli, viene a trovarmi e con il volto teso mi dice: “La mia compagna mi ha comunicato che nostro figlio ‘Jonathan’ (nome fittizio, ovviamente) è gay. Non so cosa dire o fare. E’ mio figlio”. La mia mente vola lontano, quando lavoravo in Nord America. Durante una intervista aperta, alla radio, una mamma di fede anglicana chiama e mi affronta quasi, dicendo: “Ma perché voi cattolici mandate all’inferno i nostri figli gay?” Risposi sorridendo: “Se i figli o figlie gay, o come dicono altri ‘diversi’, andranno all’inferno, non sarà certo perché sono gay. Non credo proprio che Dio perda tempo con queste storie. Non è lui che li ha creati?” (poi anche la questione di un inferno come luogo e spazio, è tutto da vedere!). Caso mai all’inferno ci andranno coloro che emarginano le persone per essere quelle che sono. Non entro a raccontare cosa mi costò questa risposta quando se ne impadronì un gruppo che io chiamo bigotto e ipocrita. Spero non leggano questo editoriale. Mi tacciarono pubblicamente di eresia sul loro giornale. Il cardinale di allora, A. Ambrozic, mi chiamò nel suo ufficio, ma il resto è parte del mio cammino cercando di aprire porte. Risposi a quel padre di cui sopra: “Amico mio, stasera entra nella camera di questo tuo figlio. Guardalo con simpatia negli occhi. Abbraccialo e digli: ti voglio bene. Non aggiungere altro e non parlatene più”. Non parlatene più, almeno che questi figli o figlie vogliano parlarne per qualsiasi ragione. Ho detto “figli diversi” perché questo era il modo con il quale alcuni genitori riuscivano a parlarne. Poi c’era e c’è il linguaggio di strada, a volte offensivo e che rivela un’animo volgare e certamente non raffinato dal rispetto. Un amico giornalista che a volte scriveva articoli pesantucci su questo tema, diventò molto più corretto dopo che la figlia, in mia presenza, gli rivelò una storia… la sua. Non vorrei poi scomodare Dio, perché lui personalmente non ha mai detto nulla a riguardo. Già so quello che penseranno alcuni a Viterbo. Mi hanno insegnato nel catechismo e nella fede popolare che ci ha creati proprio Lui, e allora… come la mettiamo? La gente non si alza la mattina e decide quale orientamento seguire, dalla lista delle opzioni come se fosse un menu à la carte. C’è una storia dietro gli orientamenti delle persone e ancora non si conoscono bene le ragioni, siano esse genetiche, culturali, sociali… o altro. Non sono però ragioni che possano permettere letture tipo: perversione, depravazione, malattia, vizio. Il DMS-(5) è chiaro su questo, da anni. E’ un orientamento e tra l’eterosessuale e l’omosessuale (io preferisco parlare di omo-affettività) c’è una gamma ben nutrita di condizioni umane e non abbiamo il diritto di giudicare con in mano le tabelle di un’etica che emargina con preconcetti culturali. Chi opera in questo campo del disagio sa bene cosa si cela dietro le apparenze. Certo come in ogni comportamento umano siamo invitati al rispetto delle persone. E questo vale per tutti: gay, non gay, etero, omo… Nel mio lavoro con persone che vivono forme di disagio, ne ho incontrati/e non pochi e con alcuni viviamo una profonda amicizia iniziata appunto dal rispetto e dall’ascolto. Non manca poi chi mi domanda cosa penso dei gay. Rispondo: “E perché, debbo pensare qualcosa?”. Se mi domandassero cosa penso dei non-gay non avrei nulla da rispondere. Semplicemente non penso all’orientamento. Penso alla persona perché tutti siamo persone. Non sono i dettagli anatomici e che non sempre corrispondono alla ricchezza emotiva-affettiva delle persone, a definire il valore e la dignità delle stesse. E’ la persona con la sua vita che dà valore al suo essere su questa terra e in mezzo a noi, non la sua anatomia o orientamento. A Viterbo la comunità che si riconosce come LGBTQ+ farà una manifestazione detta: Gay Pride, o Gay Parade, o semplicemente TusciaPride. Il 7 giugno. Perché non dovrebbero farla? Anche altre categorie di persone, per esempio le donne, dopo tanti femminicidi, escono in piazza per far sentire la loro voce che reclama rispetto. Il mondo LGBTQ+ ha sofferto e ancora soffre emarginazione e non raramente aggressioni. Ha il diritto di far sentire la propria voce: ci siamo anche noi, siamo cittadini come gli altri, vogliamo essere rispettati. E noi abbiamo il dovere di rispettarli. Non perché ce lo dice la legge. Per rispettare non dovrebbero esistere leggi che ce lo impongono. Quando serve una legge per ricordarcelo, vuol già dire che non c’è rispetto. Agli organizzatori dell’evento, ai partecipanti e alle loro famiglie mi permetto di dire che il diritto di essere accettati-rispettati è un diritto naturale di tutti, non viene concesso per buona volontà dal legislatore. Se per questo si deve farsi sentire e manifestare è perché troppi sono chiusi, non capiscono… o forse hanno problemi loro stessi. Se ci fosse vero rispetto e accoglienza non ci sarebbe bisogno di scendere in piazza con le bandiere.
Da parte mia AUGURI e Buona Festa. E cerchiamo insieme, credenti o non credenti, di credere nella correttezza e con una civiltà che accoglie, che rispetta e che non emargina.


























