“Artigianato, attività sia artistica sia comune, per la produzione di beni e servizi, organizzata prevalentemente su base individuale o familiare”. Così la Treccani che tuttavia qualche decennio lo ha. “Oggi l’artigiano può, deve diventare l’imprenditore di sé stesso. Anzi già lo è”. Nessuno probabilmente più di Andrea De Simone (nella foto) ha il polso della situazione per valutare fragilità e potenzialità, passato, presente e futuro del settore, perché è il segretario generale della Confartigianato Viterbo. “Circa 1.250 imprese iscritte, che operano in sessanta Comuni. Il capoluogo è quello più rappresentato anche se abbiamo un numero discreto di imprese a Vetralla e Soriano. Il cinquanta/sessanta per cento dei nostri associati è nel settore dell’edilizia e dell’indotto”.
Ovviamente a inizio anno è naturale tirare bilanci e immaginare prospettive. L’artigiano in genere viene pensato come un soggetto, magari attempato, intento a fabbricare un manufatto, più o meno interessante, sulla base di insegnamenti paterni. Insomma, un mestiere di famiglia.
“Certamente quello del passaggio generazionale è uno scenario che ci sta, ma posso garantire che non è più così. Ci sono realtà in cui i figli hanno intrapreso strade diverse. Tanto è vero che ci sono difficoltà a trovare manodopera nell’edilizia, nella meccanica, nell’autoriparazione”.
Come lo spiega?
“Probabilmente per decenni si è pensato che i ragazzi dovessero fare il liceo scientifico per poi laurearsi in economia e commercio. Una corsa alla laurea, insomma, che ha prevalso sul saper fare. Negli ultimi anni c’è stata una inversione di tendenza con crescente interesse verso gli istituti di formazione professionale e buone possibilità di trovare lavoro. Parliamo comunque di tempi relativamente recenti. Il riscontro vero lo avremo un po’ più in là. Se oggi un figlio dice al padre “voglio fare il cuoco”, il papà gli dovrebbe dare un bacio in fronte. Se nell’ordine degli avvocati o dei commercialisti c’è gente che si cancella dopo anni di inattività per andare a fare l’insegnante di sostegno a 1.200 euro al mese, vuol dire che il mercato della libera professione è saturo mentre cresce lo spazio nell’imprenditorialità. Non è un caso che i praticanti iscritti agli ordini professionali oggi siano un quinto rispetto a dieci anni fa”.
C’è difficoltà a coniugare l’artigianato alla digitalizzazione?
“No assolutamente, gli artigiani sono dei pionieri perché riescono a legare certi tipi di produzione all’innovazione digitale. Tanto è vero che facendo sintesi tra artigianato a intelligenza artificiale è stato creato il logo “intelligenza artigiana””.
Siamo al logo…
“No, no, abbiamo tecnologie molto avanzate”.
Anche qui nella Tuscia?
“Soprattutto nella ceramica, nella manifattura, nell’edilizia. Non c’è più la produzione tipica di cinquanta o dieci anni fa”.
Ci sono delle eccellenze, dei campioni in questo territorio?
“Non facciamo nomi, ma ce ne stanno, lo posso assicurare. Posso però dire che il settore strategico è quello della ceramica di Civita Castellana e Fabrica di Roma, se non altro perché è quello che esporta di più”.
L’artigianato a Viterbo? E l’edilizia?
“L’edilizia degli anni Novanta era quella dei palazzinari. Negli ultimi anni c’è stata quella drogata dei bonus, con imprese nate in modo estemporaneo con competenze più o meno qualificate. C’è stato quest’anno un leggero calo, ci sarà un calo marcato nel 2025, soprattutto nella manodopera impiegata. Reggeranno soltanto le ditte più strutturate. La ditta nata per usufruire del bonus è nata lì e finirà lì”.
Qual è l’artigianato più tradizionale a Viterbo?
“Il settore del food va molto forte ed è una gamba importante del turismo. Tiene il comparto del benessere”.
Nonostante la desertificazione del centro storico.
“Sono stati costruiti quartieri dormitorio e spostati centri nevralgici di primaria importanza. Pensiamo all’ospedale, alla Banca d’Italia, al Tribunale, agli uffici del Comune, ai tanti istituti di credito che non ci sono più. Abitavano in centro medici, primari, notai, avvocati, gente con una capacità di spesa importante. Il centro era vivo. Oggi ci sono cinque/seimila residenti e tante case vacanza”.
E come si può invertire la tendenza?
“Bisogna riportarci la gente a vivere. Offrendo incentivi a chi ristruttura gli immobili, aumentando le tasse a chi tiene le case sfitte, riducendole a chi le affitta. E poi, chiaramente, garantendo quella sicurezza che c’è sempre meno”.


























