Rifkin’s Festival: Woody Allen torna sugli schermi e ricorda il grande cinema del passato

Di Nicole Chiassarini

Rifkin’s Festival è la nuova commedia di Woody Allen arrivata nelle sale italiane il 6 maggio con Vision Distribution. Bandito dagli schermi statunitensi a causa degli ultimi scandali, il nuovo film di Allen, in Italia è il film del ritorno al Cinema, della ripartenza.

Il protagonista interpretato da Wallace Shawn, alter ego dello stesso Allen, per tutto il film verrà perseguitato da incubi a tema cinematografico. E mentre assiste alla fine del suo matrimonio, rivedrà in sogno i grandi film della sua vita. Da Fellini a Truffaut, da Bergman a Buñuel.

Mort Rifkin è un ex professore universitario e cinefilo, sposato da molti anni con Sue (Gina Gershon). Sospettando che la moglie intrattenga una relazione con un giovane regista francese di nome Philippe (Louis Garrel), sceglie di seguirla a San Sebastian.

Infatti Sue deve presentare in anteprima mondiale al San Sebastian Film Festival il nuovo lavoro di Philippe. Mentre la relazione tra Philippe e Sue diventa sempre più evidente, Mort inizia una sofferta riflessione, che mette in discussione la sua intera esistenza. Così inizia ad interrogarsi sul romanzo che ha sempre progettato e mai scritto, perché non sarebbe stato un capolavoro all’altezza di Proust o dei suoi maestri.

Nel frattempo, i suoi film preferiti si ripresentano in sogno. La differenza è che al posto dei grandi attori ci sono i fantasmi del suo passato. Insieme agli incubi Rifkin sperimenta anche la morsa dell’ansia, e da buon ipocondriaco, quando avverte dei dolori al petto, prenota subito una visita cardiaca. La dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya) diventerà la scusa per un nuovo innamoramento, o forse per ritrovare fiducia nel futuro.

Come già accaduto nei precedenti film di Allen, ci si ritrova a passeggiare per le vie di città idealizzate che permettono ai protagonisti di riprendere contatto con i propri sogni. In questo caso, rappresentati da capolavori cinematografici degli anni ’50-’60 che ossessionano il protagonista.

Con l’aiuto di una fotografia ottima, quella di Vittorio Storaro, Allen, parodia di grandi film del passato, cercando inoltre di lasciare un messaggio al panorama recente. Incapace di affrontare importanti tematiche filosofiche. Ma allo stesso modo, ci suggerisce che i grandi del passato sono ancora vivi e ciascuna nuova pellicola dovrebbe confrontarsi con essi. Le storie sono sempre chiare e puntano su temi che troppo spesso, oggi, vengono ignorati. L’inconoscibilità dell’essere umano, la solitudine di fronte alla morte, i piaceri dell’arte e l’amore come forma di riscatto.

Con Rifkin’s Festival, Allen gioca rispettosamente con i mostri sacri del cinema europeo con un taglio da commedia sofisticata. Qui vince la leggerezza, ma senza dimenticarsi di un messaggio importante a tutti i giovani registi, convinti di aver creato qualcosa di rivoluzionario.

Tra frecciatine e elogi, questo richiamo alla leggerezza tutto sommato, per il sospirato ritorno in sala ai tempi del Covid, forse è proprio quello di cui avevamo bisogno.

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