Nella Viterbo del 1253 quelle nozze combinate per la pace tra Guelfi e Ghibellini

di Luciano Costantini

Teodora, Latina, Borgognona, Monaldesca: ecco i nomi delle quattro pulzelle che, nel mese di giugno del 1253, sono scelte per andare spose ad altrettanti cavalieri. Quattro matrimoni indispensabili per garantire la pace tra Guelfi e Ghibellini dopo decenni e decenni di lotte cruente che hanno sconvolto la vita di Viterbo, peraltro ancora piegata dalla tremenda carestia che ha mietuto vittime a cavallo tra il 1246 e il 1247. Una città in ginocchio che per troppo tempo ha visto alternarsi al potere ora i seguaci della casa Sveva sostenuti dalle armi imperiali, ora i fedelissimi di pontefici dispensatori di indulgenze ma anche di anatemi, a seconda delle circostanze. La morte di Federico II° (1250) ha indebolito la fazione ghibellina ed è diventato più facile il rientro in città di tanti fuoriusciti di parte guelfa. La popolazione tutta aspira giustamente alla pace. Ci sono, insomma, i presupposti per costruire finalmente la sospirata concordia sociale o almeno raggiungere una tregua nelle lotte intestine. Il papa, Innocenzo IV°, invia a Viterbo un suo Legato, il Cappellano di Corte Mastro Ubaldo, che come primo atto di riconciliazione generale, il 6 maggio del 1253, sul sagrato della chiesa di San Sisto, proscioglie dall’ennesimo anatema il podestà, il consiglio comunale e tutti i viterbesi, rispetto a presunti tradimenti subiti. Tutti perdonati. Una vera e propria amnistia universale: sia per coloro che si sono macchiati di peccati più o meno gravi, sia per coloro che risultano compromessi con l’imperatore. Nessuna epurazione. Il plenipotenziario del papa scandisce pubblicamente nomi e cognomi degli “amnistiati” e poi rivolge un caldo invito – si fa per dire – a tutti perché dimentichino il passato. Ma evidentemente non può bastare: per la pace servono garanzie più solide, concrete, durature. Anche perché se gran parte della popolazione è più che disposta a mettere da parte i risentimenti, i capifazione di entrambi gli schieramenti continuano a covare intenti bellicosi e ad immaginare rivincite improbabili. Sono così costretti a scendere in campo i massimi esponenti delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche perché la sola moral suasion non fa breccia tra le famiglie più altolocate ed ostinate: gli Ebriaci contro i Paltroneri, i Petriboni contro i Gatti, i Monaldeschi contro i Tignosi. Le diplomazie si mettono al lavoro: da una parte operano il podestà di Viterbo Albizzone degli Ubaldini di Muscello e i balivi (i rappresentanti) del Comune, Raniero Tignosi (per i nobili) e Giacomo Di Nucio (per i popolani). Dall’altra i delegati papali, Scagno vescovo di Viterbo e Giovanni vescovo di Nepi. Alla fine viene individuato un lodo, cioè un accordo, che le famiglie vip sono tenute ad accettare pubblicamente. L’8 giugno del 1253 nella chiesa di Santa Maria di Gradi, dinanzi ai vescovi di Viterbo e Nepi, della curia del podestà, dei priori di San Matteo, Sant’Elena e dei domenicani, il lodo viene letto e solennemente firmato. Il documento fissa un matrimonio collettivo tra le famiglie più riottose: quattro fanciulle e altrettanti cavalieri dovranno con le loro nozze “offrirsi in olocausto di quelle paci”. Quattro matrimoni da celebrare entro i successivi otto giorni, così come prevede l’atto pubblico conservato presso l’Archivio Storico della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo (Pergamena n°83). In esso vengono riportati i nominativi dei giovani che dovranno convolare a nozze a prescindere dal loro personale consenso. Guido Petriboni concede la propria figlia Teodora a Visconte, figlio di Raniero Gatti; Raniero Gatti concede la figlia Latina a Petrucio, figlio di Guido Petriboni; Tibaldo Pandolfo e Pietro Tignosi concedono la propria nipote Borgognona, figlia dei Borgognoni/Paltroneri, a Petrucio, figlio di Pietro Cinti dei Gerardi Ebriaci; infine Monaldo concede Monaldesca, figlia di Fortiguerre e nipote dello stesso Monaldo, a Raibertutio, figlio di Tedelmaro dei Tignosi Landolfi. Con questi quattro matrimoni – scrive lo storico, Cesare Pinzi – “fu restaurata per allora la cittadina concordia”. Che in realtà si rivelerà sempre precaria. Non è provato se lo scambio delle fedi nuziali sia avvenuto nei successivi otto giorni fissati dal lodo, ma forse ben più in là nel tempo. Per esempio, Visconte Gatti avrebbe impalmato Teodora Petriboni solo nel 1258. Tant’é. Certo a tutt’oggi nessuno è stato in grado di certificare se le quattro coppie vissero…felici e contente.

 

Il passo storico nella pergamena custodita alla Biblioteca degli Ardenti

*Luciano Costantini

Nato a Fabrica di Roma, una carriera giornalistica iniziata da giovanissimo nei lontani anni ’70 alla redazione di Viterbo de Il Messaggero, poi un lungo percorso come vice capo servizio  alla redazione centrale dell’Economico della stessa testata. Ritornato a  Viterbo ha ripreso in mano le proprie radici e  la sua passione per la storia,argomento valoriale di questa testata di cui dal luglio 2018 è il direttore editoriale.

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