Murialdo play

di Chiara Mezzetti

                                                             

La Tuscia si fa racconto. “Murialdo Play” è il primo di una serie di racconti che avranno come sfondo il nostro territorio. Strade più o meno conosciute, angoli nascosti alla notorietà, panorami che si fanno voce narrante. Chiara Mezzetti, studentessa dell’università della Tuscia, scriverà in esclusiva per TusciaUp una serie di storie capaci di muoversi nei nostri vicoli in cerca di un sogni, ossessioni, paure e fantasie.

Inserire disco. Play.

“Ciao Tops, sono le 2.45 del mattino e con questa Bic in mano mi sento un po’ un poeta maledetto, forse senza poeta. Il bicchiere di whisky è già a metà. Potresti vederlo mezzo pieno o mezzo vuoto,  a seconda della tua ascendenza filosofica. So che lo vedrai tutto pieno.

Tu sei sempre stato un inguaribile ottimista. Di quelli che comprano la schedina perché sentono che è il giorno fortunato, che mangiano il gelato perché presto sarà primavera, che portano le mutande rosse anche a maggio.

Mi sono sempre odiato per questo. Perché non mi sono mai lasciato contagiare fino in fondo. Ancora mi suona in testa il tuo fischio inconfondibile, a due dita, per salutare qualcuno. Fatto da qualsiasi altra persona sarebbe stato volgare, infantile, ma tu.. Tu.. Ah, non lo so, tu sembri sempre disinvolto, immune.

E poi ci sono io, l’ombra. Non l’ombra delle palme sulla sabbia, che ti ristora dall’afa e ti disseta la pelle. Sono l’ombra appoggiata sui muri, interrotta dai graffiti, quella su cui pisciano i cani. Sto lì a riprodurre sagome, distorcere realtà, seguire la vita a distanza. Nemesi della luce. Bevo l’ultimo sorso di whisky. Il whisky è finito. Il bicchiere lascia sul tavolo l’impronta circolare. Forse non andrà più via. Avrei dovuto usare un sottobicchiere. Magari una donna, magari un quadrato di cartoncino, magari una tovaglia, un figlio, un sogno.

Magari i sottobicchieri non fanno per me. Magari non fanno per tutti. Forse gli uomini si dividono in due categorie: quelli con i sottobicchieri e quelli destinati a lasciare una fetida impronta liquida sul tavolo. Ma in fondo che me ne frega?! Non mi importa nulla di pulire casa prima di uscire. Quei leggendari ospiti di cui mia madre aveva un terrore quasi sacrale, non arriveranno. Mamma non verrà nessuno. Tranquilla. 

Non sono educato. Ma non è colpa sua. Lei è un’ottima madre. Che poi, come si fa a stabilire chi è un’ottima madre e chi una madre e basta? So solo che la mia almeno ci ha provato.

Non sono una bella persona. Non ho scuse per quello che ho fatto, non le cerco, non. Hey Tops, ma lo stai seguendo il discorso?! Sei curioso o impaurito? Vuoi veramente sapere ciò che ho fatto?! Sei in tempo per smettere di leggere.

Ora.

Smetti.

Non ce la fai è? Hai paura, ma il fascino del sublime, dello sporco, ti divora. Vuoi sapere, anche se rischi di bruciarti le ali. Non giocare Tops, sto per farti del male. L’immagine che hai di me, sto per distruggerla. Sto per distruggermi. Sto per imbrattare quella foto. Non fraintendermi, sono venuto carino. Il bambino con il broncio e i pantaloncini corti. Ma non sono io. Io la mia copia di quell’immagine l’ho distrutta. Ora tocca a te. 

Due anni, tre giorni e 12 ore fa. Via Leonardo Murialdo. Una Marlboro rossa in bocca. Filtro morbido. Faccio un cerchio con le labbra, la lingua di fumo si ritorce su se stessa e una O perfetta fluttua verso il soffitto.

Un colpo. Secco. Il cerchio si scioglie.

Yvonne con le braccia a ciondolone e le gambe ancora incrociate. Testa china. I suoi capelli così lunghi che toccano il pavimento. Che cosce! I piedi ancora incastrati dentro quei tacchi vertiginosi.

Corri Yvonne vai a cambiarti, il colletto del vestito è sporco di sangue. Vai! Non ti muovi? Che ridere.

“Yvonne torna a casa”, “Yvonne tutto si sistema”.

Yvonne non può sentirvi, sta sotto una lastra di cemento. Ci passeggiate sopra col carrello. Parcheggiate la vostra monovolume, entrate alla Coop. Perché lì sì “la roba costa di più, ma è di qualità”. Io non c’ho mai creduto comunque.

Ma no, voi vi ostinate. Vi ostinate a chiamare qualcuno che non vi può rispondere.

Beh, non è che sia più ferma di quando facevamo l’amore. Meravigliosa bambola di pezza. 

Perché l’ho fatto? è questo che mi stai chiedendo Tops? Perché tu mangi il gelato a marzo e compri la schedina. Perché ti fa sentire vivo.

Yvonne era una figa come un’altra. Un’altra scopata. Oh, ma poi neanche la conoscevi Tops che ti importa?! Hanno anche smesso di cercarla. Yvonne non ti cerca più nessuno. 

Yvonne era una figa come un’altra. E mi viene a dire . Incinta. Un figlio. Non lo voglio un sottobicchiere. Paura. Un colpo e tutto finisce. Le urla, i vagiti. Ma lei no, non ne voleva sentir parlare. E allora ho deciso di farle un favore. Ha smesso di sentire. Hanno smesso di sentire. Due anni, tre giorni e 12 ore fa. E io ho iniziato a sentire.

Ho cambiato il filtro e all’improvviso il magma grigio è diventato rosso. La mia esistenza. Rosso senza fine. Mi addormentavo ogni notte con le urla del neonato nelle orecchie. Un pianto ininterrotto. Nessuna tregua. Gridavo. Seduto ad angolo retto sul letto. Strillavo fino a perdere i sensi. Niente lacrime. Solo vomito e sudore. Sangue che esplode nelle vene, che si gela in mezzo al petto.

E ora Tops io credo di meritare una tregua.

Tregua.

Voglio fare un gioco con te e alla fine del gioco, avrò la mia tregua. Avrai la mia tregua. Leggi ad alta voce il mio biglietto. E registrati. Leggi tutto mi raccomando fino alla fine. Anche questa parte. Dà il video alla polizia. Tu vieni più carino di me in video. E poi, amico mio, ho bisogno che sia tu a farlo. Ho bisogno che tu mi tradisca. Quando arriverai correndo a casa mia troverai il mio cadavere appeso. Forse.”

Eject

I Racconti del giovedì/1

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI