La letteratura sulla risata è sterminata. Per rimanere nell’ambito greco basti qualche esempio: nel pantheon spartano troviamo Ghelos, il dio Riso; i miti greci raccontano che i primi a ridere furono proprio gli dei. Non solo, l’ilarità era per gli antichi uno strumento della ragione per smascherare la vacuità di molte credenze umane, come insegnano i filosofi Democrito e Diogene*.
E oggi, nell’epoca imperante del politicamente corretto, siamo ancora liberi di dissacrare? Se l’è chiesto Michelangelo Gregori, regista di “Una risata ci salverà” (2023), un documentario che somiglia a un’originale inchiesta giornalistica (per niente seriosa) sul rapporto tra satira e religione. Moni Ovadia, Piergiorgio Odifreddi, Sergio Staino sono alcune delle voci interpellate: l’indagine che ne risulta non è uniforme, le opinioni si contraddicono e la grande questione sul confine tra sacro e satira rimane irrisolta. L’opera ha fatto il pieno di premi e continua a girare l’Italia dei festival cinematografici, mentre il suo autore, di Grotte di Castro, immagina una scommessa ambiziosa sul territorio con la seconda edizione del Viterbo Short Festival.
Come è nata l’idea di “Una risata ci salverà”?
Dal bisogno di andare oltre il politicamente corretto che sta mettendo a freno l’istinto comico. In Italia non si è mai approfondito abbastanza il rapporto tra comicità e religione: è un tema delicato, che esula dalle logiche commerciali e, infatti, ho ricevuto molti no dalle produzioni a cui ho proposto la mia idea.
Nonostante le porte chiuse sei andato fino in fondo…
Nel cinema anche le cosiddette produzioni indipendenti, di indipendente hanno ben poco. Il mio documentario aveva la pecca di non essere spendibile, motivo per cui l’ho autoprodotto. Ringrazio i tanti festival cinematografici perché hanno permesso di dargli una discreta visibilità. Oggi è possibile vedere il documentario su Openddb, una piattaforma di distribuzione dal basso.
Dopo aver viaggiato in lungo e in largo nelle contraddizioni della satira nostrana, che idea ti sei fatto?
In Italia la satira sta scemando: i comici non mancano ma sono in pochi a fare satira. Quest’ultima per dirsi tale deve colpire il potere. La religione è la nostra più grande istituzione, ma al tempo stesso rappresenta ancora un grande tabù.
Quando inizia il tuo interesse per la comicità?
Ho collaborato per anni con Sbobtv di Daniele Ercolani, un progetto satirico tuttora in vita e da cui poi è nato Viterboh. Portammo la satira su scala locale, per esempio con l’irriverente Ammazzacaffè che prendeva in giro Caffeina. Da quell’esperienza è nata la voglia di misurarmi, in veste di attore e autore, su palchi importanti come il Festival della comicità di Modena. Non mi occupo solo di comicità: ho lavorato nel video design dell’opera lirica e, come autore, ho scritto spettacoli teatrali che hanno girato il mondo come “Simphony of Caos” per dj Asco e la voce di Luca Ward.
A proposito di religione, fino a che punto è legittimo spingersi nel fare comicità su un personaggio fortemente amato dai viterbesi come Santa Rosa?
È importante sottolineare che l’attacco della satira non è mai alla persona ma al potere, serve per mostrare le incongruenze. Pensiamo, per esempio, a Viterboh: quando viene lanciato un nuovo contenuto video significa che c’è qualcosa che non torna. Se dovessimo prendere in giro Santa Rosa per un gusto fine a se stesso non avrebbe senso. La satira presuppone consapevolezza e non deve mai mancare il rispetto.
Si è da poco conclusa la prima edizione del Viterbo Short Festival, di cui sei stato il promotore. Come è andata?
È stato una grande prova generale, non mi aspettavo una così bella riuscita. Sono venuti registi da tutta Italia e dall’estero. Il vincitore è un regista francese. Seppure partiti in sordina, la risposta del pubblico viterbese si è fatta sentire. Al momento l’obiettivo è farsi conoscere, far vedere che ci siamo. Il cortometraggio è una realtà importante, che non ha un vero e proprio mercato, ecco perché i festival sono vitali.
La cosa più bella che ti è stata detta a proposito di “Una risata ci salverà”?
Mi hanno augurato di non perdere la mia firma stilistica nel raccontare le cose.
La proiezione del documentario che più ti porti nel cuore?
Al Gridas di Scampia, un’associazione culturale oggi gestita dalla figlia di Felice Pignataro, l’artista che con i suoi laboratori e murales ha contribuito a immaginare un nuovo volto di questa periferia.
*I riferimenti sono tratti da “I Greci, i Romani e… il riso” di Tommasi Braccini (Carocci editore)
Ph ©Maurizio Di Giovancarlo – Tuscia Fotografia