Marina Vincenti, 100 volti di donna e nel clic lo sguardo dell’anima

Di Carolina Trenta

Marina Vincenti

Una fotografia … Ma è poi vero che una fotografia non parla?

E’ lo spunto dell’incontro nella piccola e soleggiata Chia con Marina Vincenti, appassionata fotografa e camminatrice, che ci ha parlato della mostra in corso che costituisce il presente di una narrazione che attraversa  la sua vita.

 Come e perché questa esposizione?

Con questo progetto fotografico insieme a Lietta Granato e Francesca Pinzaglia abbiamo voluto dimostrare che se la si guarda attentamente una fotografia è in grado di dirci tantissime cose. Per fare ciò abbiamo scelto l’elemento perfetto da accostare ai fiori e alle piante, ovvero la Donna. La donna in sé, al di là dell’età, dell’appartenenza, del carattere, del colore della pelle, della predisposizione a stare davanti all’obbiettivo e al di là del tempo; la donna quindi nelle sue innumerevoli variabili, che la rendono un’immagine reale e non un ideale astratto.

“100 volti di donna” è dunque un unico volto in tutto il suo multiforme splendore?

Cento volti che sono stati cento volte dipinti e ritratti dalla macchina fotografica, truccati dalla natura laddove trucco non significa inganno, come arte non significa artificio.

Con la realizzazione di questi scatti abbiamo voluto celebrare la bellezza in sé delle donne, assumendo lo sguardo di un’ape in volo su di un’inebriante prato fiorito: immagini, sensazioni e perché no … anche parole.

Dietro la macchina fotografica chi è Marina Vincenti, raccontata da Marina?

Non è facile, probabilmente non saprei dirlo nemmeno io … lo sto scoprendo man mano che vado avanti, come chiunque credo. In ogni caso, sono una fotografa: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono approdata alla fotografia solo di recente, e per puro caso, durante i miei studi come disegnatrice di interni a Roma. Ho continuato la mia formazione a Viterbo con il corso di fotografia naturalistica e macro diretto da Alessandro Zocchi e frequentando la scuola di Lietta Granato, con la quale ho iniziato a collaborare nel 2016 all’interno dell’associazione Click! della nostra città.

La passione ne ha fatto un lavoro?

Ci ho provato, ma mi sono resa conto del fatto che quando faccio foto per lavoro mi ci diverto meno. Più che per eventi o cerimonie preferisco fotografare quando sento la necessità di farlo.

Suo marito è lo scrittore e guida Marco Saverio Loperfido. Quanto l’incontro con lui le ha cambiato la vita?

Totalmente. Al di là dell’avermi dato la stabilità emotiva che stavo cercando e ad avermi trasmesso la passione per il cammino, da Roma mi ha portato a Chia, ed è un passo non da poco. Dalla grande metropoli sono arrivata in un paesino come questo: forse era l’unica possibilità che avevo se davvero volevo staccare rispetto al dinamismo e alla vivacità della Capitale. Qui è tutta un’altra realtà: bambini che giocano con le fontane, anziani seduti a chiacchierare sulle panchine … è un po’ come tornare all’Italia degli anni ’50.

Quella mappatura a piedi, paese dopo paese, dello Stivale, cosa le ha dato e cosa le ha tolto?

Tolto nulla … anzi, 3 kg! E indubbiamente mi ha dato tanto, anche perché siamo arrivati oltre, fino a Bruxelles. Ogni posto che si visita è una cosa nuova, dalle persone, ai luoghi, al cibo, che per me è importantissimo! Mi è piaciuto vedere i dialetti che si fondono, le rocce che cambiano, i paesaggi che si trasformano …

I vostri progetti toccano le parti più fragili della nostra società, come i ragazzi con problemi psichiatrici o giovani detenuti; lo sentite come uno strumento di rinascita sociale?

Sono sempre argomenti molto delicati, per cui è difficile dare una risposta … ci auguriamo di fare il meglio.

E come convivono una fotografa, uno scrittore e un cane?

Abbastanza bene, devo dire, riusciamo a ricavarci i nostri spazi e a collaborare. Marco poi ha lavorato come video maker, quindi mi aiuta nella gestione delle foto, mentre io gli correggo le bozze. E in tutto questo Bricco ci fa compagnia!

Sarà realizzabile in una macro area come la Tuscia il poter girare a piedi? C’è una speranza o il cammino si sta perdendo?

C’è speranza, soprattutto in questo ultimo anno camminare sembrava l’unica attività che si potesse fare, è stata rivalutata tanto. Il problema della Tuscia purtroppo è la manutenzione dei sentieri; nonostante ciò, percepisco l’interesse delle persone, i gruppi sono numerosi e indipendenti.

 

Dalla grande città Bologna a Chia, passando per Roma e Viterbo: come sono cambiate le sue abitudini?

A Bologna ci sono nata e ci ho vissuto sette anni; poi sono andata a Sutri, a Viterbo, a Roma e infine a Chia. Prima della fotografia per un periodo ho studiato teatro; mi piace rinnovarmi spesso, soprattutto per combattere la mia pigrizia cronica. Certo in un paesino tranquillo come questo la cosa risulta un po’ più difficile, ma non mi perdo d’animo!

 

Cosa ama in particolare di questo borgo pasoliniano? Riflette lo sviluppo sano dei territori?

Qui ci sono quella semplicità e genuinità che si addicono ai piccoli borghi, c’è tanta natura intorno, boschi bellissimi, e Roma è vicino. Dico Roma e non Viterbo perché secondo me il nostro capoluogo di provincia ha tante possibilità, ma poco sfruttate: eppure sarebbe una città con tante potenzialità, non ha nulla da invidiare a simili cittadine umbre o toscane valorizzate meglio …

Dal mio punto di vista, i territori proprio in quanto abitati da persone sono difficilmente sani.

 

Paesaggio, ambiente e mobilità sostenibile. A che punto siamo?

Purtroppo non mi sembra che nella Tuscia siamo messi molto bene … non ci sono piste ciclabili, non ci sono punti di bici a noleggio. Qui sembra tutto a discrezione del singolo o di privati, come l’associazione Viterbo Clean Up, molto attiva sul territorio.

 

Il futuro e i progetti. Cosa bolle in pentola?

Per me è sempre tutto una sorpresa, non amo troppo progettare. Ci stiamo riaprendo adesso dopo un periodo in cui è stato tutto fermo, ci stanno arrivando tanti imput di diversi tipi ma ho bisogno un attimo di riorganizzare le idee.

 

Zaino sulle spalle con una bella macchina fotografica di quelle compatte o leggere o la fotocamera del cellulare, cosa vorrebbe immortalare?

Spesso e volentieri non è il fotografo a decidere cosa fotografare, le immagini arrivano e bisogna essere pronti ad immortalarle. Prima la foto va vista, scattata e poi ci si rende conto di ciò che è rimasto nell’obbiettivo. Sono una persona molto pragmatica, tendo poco a spiegare ciò che fotografo; anche le didascalie dei miei libri sono molto ridotte … preferisco lasciare che l’osservatore ci metta dentro ciò che lo riflette meglio, come qualsiasi opera d’arte (se così si possono definire le mie foto!).

 

“100 volti di donna”, una mostra che ne celebra l’arte e la bellezza. Un invito a visitarla.

Dal bocciolo al frutto, dalla fanciulla alla saggia anziana, “100 volti di donna” ripercorre attraverso l’arte floreale e della fotografia quel cammino terreno che ogni donna è chiamata a compiere dal giorno della sua nascita; con discrezione ed eleganza, dal 4 al 24 giugno, a Viterbo presso i locali del Teatro Bistrot Caffeina, attraverso la loro arte, tre donne celebrano l’eterna bellezza di tutte le donne.

L’incipit.

Fiorire, piantarsi, appassire, fruttare, sradicarsi, inalberarsi, coltivare, recidere … sono solo alcuni tra i verbi che usiamo abitualmente in un contesto diverso da quello per cui sono stati coniati. Le piante, gli alberi e i fiori, da sempre e in ogni cultura, sono metafora della vita interiore e del percorso esistenziale di una persona. Il mondo vegetale, ricco e straordinariamente produttivo di specie diverse tra loro, è l’archivio più immediato che abbiamo a disposizione per dare voce al nostro mondo di emozioni e sentimenti. Spesso lo scordiamo, ma senza il vocabolario delle piante, della loro forma, dei loro colori e delle loro suggestioni, rimarremmo senza parole, muti come in una fotografia.

Una fotografia … Ma è poi vero che una fotografia non parla?

 

Lasciando Marina Vincenti siamo consapevoli che la fotografia parla alle coscienze e le smuove.

 

 

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