Lipu Viterbo, il contributo alla problematica cinghiali

Quello di Lipu vuole essere un contributo alla comprensione delle cause ed alla scelta degli strumenti più idonei.

La problematica della gestione del Cinghiale è stata sempre affrontata in maniera anomala rispetto ad altre tipologie di problematiche che, come questa, diventano anche sociali.

La si affronta come una emergenza creata dal nulla, senza verificare le vere cause ed agendo soltanto sugli effetti.

La verità storica stranamente non è mai stata approfondita eppure è talmente nota e conosciuta, soprattutto da chi ne è stato l’artefice e proprio per questo viene taciuta dai più.

Nel secondo dopoguerra, il Cinghiale autoctono era quasi scomparso. Era il Cinghiale maremmano, più piccolo e schivo di quello attuale. Il numero esiguo e la sua permanenza all’interno delle aree boschive non aveva mai rappresentato una emergenza.

L’attività ludica della caccia aveva contribuito alla sua quasi estinzione perciò, si pensò bene di importare massicce quantità di Cinghiali dai paesi dell’Europa dell’est. L’operazione di ripopolamento, durò decenni, con l’avallo e spesso con il finanziamento delle pubbliche amministrazioni come Provincie e Regioni. Questi animali, più grossi e molto più prolifici di quelli autoctoni, aumentarono rapidamente di popolazione allargando di conseguenza il loro areale.

Il sovrannumero determinò carenza alimentare e cominciarono a sforare all’interno di campi coltivati distruggendo coltivi a cereali, mais, patate.

Danni di non minore entità cominciarono a verificarsi nei confronti di altre specie della fauna selvatica e della vegetazione, soprattutto nel sottobosco.

Un esempio su tanti che ci riguarda molto da vicino, la pesantissima riduzione dell’80% della nidificazione dello Svasso maggiore all’interno della Riserva Naturale del lago di Vico causa della quale è dovuta in gran parte dalle scorribande dei Cinghiali nella palude e nei canneti.

La specie è platealmente sfuggita di mano, in maniera approssimativa, dilettantistica, per incompetenza se non addirittura per dolo, ossia volutamente, per il grande piacere delle squadre di caccia al Cinghiale.

Tenete conto che in questo frangente, i danni all’agricoltura sono stati sempre considerati “da fauna selvatica” e quindi rimborsati dalla Regione, ossia dalla comunità, perciò da noi tutti.

Nel frattempo, quali provvedimenti sono stati presi per mettere un argine alla problematica? Le amministrazioni, tutte, non hanno fatto altro che dare sempre più libertà di azione a quella componente venatoria che non solo si era resa responsabile d’aver creato questa emergenza ma che non aveva alcuna intenzione di limitarla sia per interesse che per incompetenza.

Rimane ancora molto diffusa la pratica della “pasturazione”, ossia, dell’alimentazione artificiale per favorire la prolificità, altro che riduzione della popolazione.

Ora, l’interesse si capisce bene quale sia, avere un sovrannumero di animali per fare un ottimo bottino nelle battute di caccia.

Riguardo l’incompetenza, la può spiegare bene, molto meglio di me, chi conosce la socialità e l’ecologia della specie.

Mi limito solo a dire che nelle “braccate”, avviene una sorta di rastrellamento a tappeto nel bosco, assolutamente non selettivo, dove tutte le specie che si trovano nell’area subiscono lo scaccio verso le postazioni. Neanche l’abbattimento dei Cinghiali avviene in maniera selettiva e sappiamo bene questo cosa comporta.

Il Cinghiale è un animale sociale e come tale è strutturato in maniera gerarchica. In ciascun branco, l’unica femmina fertile è la matriarca che inibisce l’estro delle altre femmine. Se viene abbattuta la matriarca, tutte le altre femmine vanno in calore e si moltiplicano in altrettanti gruppi.

Questo è principalmente, il motivo per cui l’approccio seguito finora non ha funzionato nel contenimento della popolazione e sarebbe ora che le amministrazioni competenti, al di là delle colpe storiche che anch’esse hanno nell’anomalia artificialmente causata, cambiassero registro.

Chiediamo un approccio scientifico alla problematica, la creazione di un tavolo tecnico composto da esperti, etologi, faunisti, possibilmente non collusi col mondo venatorio, escludendo per esempio, quelli che lavorano a stretto contatto con le ATC.

Chiediamo che vengano favoriti gli agricoltori per attuare forme di protezione delle coltivazioni.

Chiediamo un approccio a largo spettro direttamente sulla specie favorendo interventi non cruenti che possano prevedere catture, delocalizzazioni, sterilizzazioni. Strumenti già messi in atto con profitto in altri paesi, che darebbero risultati ben superiori rispetto a quella pratica venatoria che finora ha solo peggiorato la situazione.

Enzo Calevi                                                                                                                                            Il delegato provinciale LIPU Vt

 

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