La Tuscia, un territorio da difendere dai veleni

di Luciano Costantini

chemical ronciglione

La storia inizia negli anni Trenta del secolo scorso tra il monte Fogliano e il lago di Vico. E’ lì che sorge, tra faggi e arbusti, un sito di 36 ettari che ospiterà tonnellate di iprite, fosgene, veleni dai nomi più o meno sofisticati e più o meno letali. Oggi è abbandonato, ma off-limits, si chiama Chemical City, inglesismo che magari dovrebbe attenuarne le paure. Un mostro della mitologia fantascientifica da disarmare e, se possibile, da dimenticare. La storia continua, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi dell’Ottanta, con la Centrale di Montalto di Castro: scatena scontri politici e sociali, divorando nella sua costruzione una montagna di vecchie lire, 50.000 miliardi, equivalenti se non di più a una manovra finanziaria del tempo. Dopo la messa al bando del nucleare, l’impianto aspetta ora di essere trasformato magari in un museo dell’Enel o addirittura di essere smantellato. La storia prosegue con la comparsa dell’eolico e dei suoi mulini, a segnare anche visivamente un’inarrestabile, comunque inarrestata, espansione dei confini della macchina del vento. Al loro cospetto si arrenderebbe anche il pur temerario Don Chisciotte. Torri metalliche che stanno alterando non soltanto l’impatto estetico, ma anche il sistema bioclimatico di centinaia di ettari di territorio e di decine di comuni: gli ultimi arrivi sono schedulati su Onano, Monteromano, Canino, Bagnoregio, Bolsena, Montalto di Castro, Tuscania, Lubriano, Montefiascone, Celleno, Tessennano, Cellere, Tuscania, Valentano. E, naturalmente, su Viterbo. Quest’ultima (67.000 abitanti), a sua volta, costretta a difendersi dall’assalto della marea di rifiuti, organici e indifferenziati, che Roma (oltre 4 milioni di abitanti), ma non solo, prova reiteratamente a discaricare. Come se un solo quartiere dovesse farsi carico della immondizia di una metropoli e trasformarsi in una gigantesca pattumiera. Accusare una provincia, la nostra, di sindrome Nimby, “Non nel mio cortile”, è nei fatti una palese falsità. Un territorio, la Tuscia, di poco più di 3.600 chilometri quadrati, 307.000 abitanti, 60 comuni, che dovrebbe anche ospitare depositi di scorie radioattive (inizialmente 22 quelle individuati dalla Sogin, poi ridotti di numero). Questa è storia di appena ieri. Poi la storia più recente che parla di impianti già progettati per il riciclaggio di materiali vari, plastiche comprese. Se non bastassero le servitù demaniali a inchiodare la Tuscia ad un oggettivo e pernicioso vassallaggio imposto da fuori, ha contribuito e contribuisce alla sua progressiva devastazione l’uso, spesso l’abuso, di concimi e anticrittogamici per monocolture (noccioleti, soprattutto) che vanno a impregnare i bacini imbriferi per poi scivolare inesorabilmente nelle acque dei laghi. Come dire che quando il pericolo non si appalesa con le bombe chimiche o con il nucleare, è la mano stessa dell’uomo a innescarlo in casa propria. Insomma, sappiamo farci del male anche da soli. “Ma non sarà più così”, assicurano a tutti i livelli, politici e amministratori. Di ogni ordine e grado. Inutile fare nomi e cognomi, e non li faremo. Così come non servirebbe ricordare i convegni che in nome di “una terra da salvare” si sono tenuti in tempi diversi e a diverse latitudini. Tutti, ma proprio tutti, impegnatissimi a frenare il degrado di un territorio che evidentemente è sotto schiaffo. E non da ieri. Una domanda sorge immediata per quanto semplice, semplice: qual è il futuro immaginato per la Tuscia? Quello di una valorizzazione storica, artistica, culturale, agroalimentare che non può prescindere dalla sua salute ecologica e ambientale o assecondare nell’ignavia un percorso di devastazione sistematica del territorio? Che, tra l’altro, si sta consumando in totale dispregio della Costituzione, dove all’articolo 9 recita testualmente: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. La storia non è terminata anche se per immaginare una conclusione a lieto fine sarebbe necessario viaggiare in compagnia di straordinari personaggi come Dante, Pirandello, Goethe, Pasolini, autentici testimoni di bellezza di una terra allora lontana dai veleni.

Foto:scorcio su Lago Vico- Chemical city, ex centro chimico militare dove nello scorso marzo è terminata la bonifica militare e ambientale del 1° lotto, che comprende un’area di circa un ettaro e mezzo.

 

 

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