Dialogo tra Francesco e Alessio. Che non è esattamente il titoletto di una leggenda medievale o di una ballata rinascimentale. Ma un botta e risposta, estemporaneo per quanto simpatico, che si consuma nel corso dell’omelia della santa messa per la “Pasqua dello sportivo”, che si celebra all’oratorio di S. Maria della Grotticella a Viterbo. In piedi dinanzi all’altare, in abito talare, il vescovo Orazio Francesco, di fronte in tuta gialloblù, Alessio, scolaro di seconda dell’Istituto Pietro Egidi del capoluogo. “Ehi tu, sì proprio tu. Come ti chiami”. Dalla prima fila dei banchi si alza un ragazzetto, dai capelli corvini e all’aria smarrita. “Io…mi chiamo Alessio”. “Perché giochi a pallone?”. “Ma non so…spero di diventare un campione”. “Va bene ti verrò a trovare il prossimo anno, ma non di domenica perché di domenica, capisci bene, ho un bel po’ da fare. Sono sicuro che ti starai chiedendo: ma sto’ vescovo…invece di dire la messa…Guarda, che parlo con te, ma mi rivolgo anche agli allenatori e alle società. Dovete educare all’umiltà, alla determinazione, all’impegno. Lo sport deve preparare alla vita”. Omelia diversa e che pure si coniuga perfettamente al tema del meeting pasquale, organizzato dall’instancabile don Pino Curre (“Valore educativo dello sport”) che oltre a decine e decine di giovanissimi atleti vede in campo – pardon, prima in chiesa – dirigenti, allenatori, giornalisti. Tra i quali Angelo Peruzzi da Blera (così si è presentato); il conduttore televisivo Enrico Varriale, il trainer Lillo Puccica, il ds della Viterbese Carlo Musa, il giornalista Fabio Massimo Splendore, il presidente del Csi Daniele Pasquini, il presidente della Ficg di Viterbo Angelo Moracci, l’attore Riccardo Acerbi, don Alessio fratello sacerdote dell’ex giocatore del Milan Albertini, l’ex centrocampista rossonero Rodney Strasser che oggi veste la Polisportiva della Favl Cimini. Tutti uomini di sport che, dopo messa, si raccolgono attorno ad un tavolo per raccontarsi e raccontare aneddoti più vari, legati comunque e sempre a un filo comune: lo sport come strumento di crescita e di emancipazione sociale, prima ancora che di successo. “Vengo dalla Sierra Leone – racconta Strasser – e da piccolo mi commuovevo allorchè vedevo un paio di scarpe da pallone. Sono cristiano e più tardi, quando ho cominciato a guadagnare, ho pensato persino di costruire una chiesa. Il razzismo? Tutti siamo chiamati a fare di più”. “E lui dà già tanto – puntualizza Lillo Puccica che oggi lo allena – perché vive il gioco con passione e con amore. Il calcio spesso oggi presenta situazioni imbarazzanti, soprattutto tra i giovani. Le famiglie devono impegnarsi per svelenire i campi da gioco”. “Per fortuna – conclude con una battuta Peruzzi – la mia famiglia neppure sapeva che giocavo a pallone. Purtroppo, sul versante dell’educazione, noi genitori abbiamo fallito. Nello sport come nella vita, servono lealtà, solidarietà, rispetto. Come sono arrivato al successo? Tre i fattori. Fortuna, passione e, l’ho detto e lo ripeto, il fatto che i miei non sapessero niente del mio rapporto con il pallone”.
Il Vescovo di Viterbo dialoga a braccio con il giovane atleta Alessio