C’è un’enorme installazione in legno che galleggia sull’oceano nella costa nord occidentale della Papua Nuova Guinea, nel versante che bagna la provincia di Vanimo.
C’è un cuore grande che divide la scritta “Welcome” da “Pope Francis”.
È colorata, è accogliente, è creativa e ingegnosa per gli strumenti a disposizione. Ma non avevo dubbi, non potevo aspettarmi qualcosa di diverso da questo popolo.
Si attraversano le ultime miglia di oceano e si arriva alla spiaggia che anticipa i villaggi e la foresta. Si avvicinano sempre più forti i suoni di festa che attendono il grande evento: l’arrivo di Francesco, il Papa argentino, l’uomo di quella terra tanto vicina a questa provincia. La stessa terra dei missionari, molti suoi amici dai tempi di Buenos Aires, che ogni giorno mettono impegno, aiuto e determinazione tra i popoli di questi villaggi.
Fiori esotici, canti e colori dei più disparati riempiono le uniche due strade che si incrociano a Vanimo. Gruppi di indigeni arrivano puntuali dalla foresta dopo giorni di cammino, i ragazzi della Queen of Paradise’s Orchestra in prima linea, la bambine e ragazze della Casa rifugio di Lujan sono pronte con una lettera da leggere. È loro solito preparare una maestosa collana di fiori per gli ospiti del luogo, ma stavolta, per la grande occasione, Papa Francesco ha ricevuto una corona con il simbolo sacro di questo popolo: le piume dell’uccello del paradiso.
“Siete esperti di bellezza voi” dice, ma bisogna “Favorire ogni iniziativa necessaria a valorizzare le risorse naturali e umane, in modo tale da dar vita a uno sviluppo sostenibile ed equo, che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso”.
Mi viene subito in mente quando, un anno fa, portai il Pacific Waves Festival nei villaggi affrontando il tema dell’ecosostenibilità. Proiettai un documentario sull’impatto della plastica nell’oceano, che fece molto successo provocando domande da parte di molti e attenzione nei giorni seguenti. Tornata in Italia, mi sono chiesta chi, non essendoci un Governo presente, non essendoci un sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti, avrebbe continuato il processo di consapevolezza nei villaggi. Chi avrebbe potuto parlare a tutti loro, che vivono in un Eden incontaminato, che produce ossigeno per il resto del mondo, che sopravvivono nei villaggi e in periferia senza acqua, luce e gas mentre le grandi risorse sono al centro di un’importante contesa tra multinazionali cinesi, americane ed europee.
Vedo tra le foto Padre Miguel e Padre Martin, due missionari che hanno fatto della religione una causa il cui fine è molto più concreto di quello che ci si può immaginare. Vedo Maria Joseph, ragazzina brillante con un grande senso dell’umorismo e talento, vedo Vincent, padre di due bambine dolcissime del villaggio di Figin, vedo per la prima volta il figlio nato da poco di Cathy, mia coetanea.
Che sia solo l’inizio dell’attenzione per questo popolo che ha tanto da raccontare e per questa terra tanto bella quanto ospitale.
L’autrice*
Classe 1998, nata a Viterbo e cresciuta a Celleno, nei colori della Tuscia. Lavora nel mondo della comunicazione, in particolare quella indirizzata ai temi sensibili. “Ci sono prospettive secondo le quali un confine può evocare grandi sfide, emozioni, scoperte e desiderio di superarlo. In una parola si tratta di ‘evoluzione'”.
Il suo punto di approdo è un mondo senza confini
Nell’isola Papua Nuova Guinea ha soggiornato nel marzo 2023 per realizzare il suo progetto di comunicazione e innovazione sociale.
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