Cappella Mazzatosta, parte il restauro. Il Vescovo: “Un esempio virtuoso a tutela del patrimonio di Viterbo”

di Luciano Costantini

Un gioiello da recuperare, da ripulire, da offrire, una volta tanto perfino da ostentare, perché rappresenta una delle meraviglie di Viterbo. Una serie di affreschi, letteralmente sbriciolati in ventimila frantumi da un devastante bombardamento nel 1944 e poi rimessi insieme; un pavimento saltato e faticosamente riassettato; un baldacchino in peperino assemblato al di sopra dell’altare. Ultima rivisitazione generale, magari frettolosa, nel 2002.  Ecco la cappella Mazzatosta, chiesa di Santa Maria della Verità di Viterbo, che diventa un cantiere di restauro e tale resterà per un paio di mesi prima di essere riaperta al pubblico per miracol mostrare. Apertura dei lavori questa mattina, venerdì 1 ottobre, alla presenza dei vertici istituzionali: il sindaco di Viterbo Giovanni Arena, il vice prefetto Malerba, il vescovo monsignor Lino Fumagalli, la soprintendente all’Archeologia e Belle Arti per l’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale Margherita Eichberg, il presidente della Fondazione Carivit Marco Lazzari. Restauro che sarà eseguito da Roberto Della Porta, per l’occasione già in candido camice, che illustra gli interventi previsti e che riguarderanno il pavimento, gli affreschi quattrocenteschi dell’altare, il baldacchino sovrastante l’altare. Una operazione minuziosa ed attenta anche perché – spiega Della Porta – le precedenti attività di manutenzione non hanno osservato le pur rigorose norme della regola d’arte: cemento e vernice passati grossolanamente su tavolette e capitelli, ritocchi raffazzonati, comunque tali da penalizzare il valore artistico del sito. Tutto dovrà tornare all’antico splendore. I tempi? Sostanzialmente due mesi. “Per la riapertura ci siamo dati una data, quella dell’8 dicembre, giorno dell’Immacolata. Cercheremo di rispettarla”, annuncia il presidente, Marco Lazzari, della Carivit che insieme al FEC (Fondo Edifici del Culto) e la Diocesi di Viterbo, ha permesso l’avvio delle operazioni di restauro. “Un esempio virtuoso – sottolinea il vescovo Fumagalli – di joint venture tra chiesa e istituzioni nel perseguire un obiettivo comune, cioè l’interesse di tutti. Che nel caso specifico si traduce in un atto di amore per la città. Sì, amiamo e dobbiamo continuare ad amare Viterbo”. L’occasione dell’avvio dei lavori offre anche l’opportunità alla Soprintendente, Margherita Eichberg, di sollecitare a sfruttare al meglio le chances che il dopo Covid sta offrendo sul versante del patrimonio artistico, storico e culturale: “Ci sono tanti, tantissimi soldi, che dovranno essere spesi rapidamente e in modo oculato. Serve però personale per utilizzarli per nuove iniziative. Evitando semmai certi errori del passato. Per esempio, permettere di calpestare pavimenti preziosi come quello della Cappella Mazzatosta” che pure è un autentico gioiello. Distrutta dai bombardamenti, fu rimessa in piedi attraverso un primo restauro che rappresenta ancora oggi un autentico esempio di scuola, presente in tutti i manuali”. La Cappella Mazzatosta è, dovrebbe essere, il punto non di arrivo, ma di partenza di una nuova stagione di valorizzazione del patrimonio artistico in generale. Per Viterbo, per la Tuscia, per il Paese. Le risorse ci sono, la volontà anche. Il nemico più agguerrito che è sempre dietro l’angolo si chiama Burocrazia. La Cappella, voluta da Nardo Mazzatosta nel 1446, ospita affreschi pregevoli di Lorenzo Da Viterbo. Sulla  parete di fondo si staglia un baldacchino in peperino attribuito ad Isaia da Pisa. Il pavimento è formato da mattonelle di ottagoni incatenati. Il colore dominante è blu su fondo bianco, arancio scuro, verde ramina e viola manganese. Nei quadrelli sono rappresentati animali, frutti, lettere dell’alfabeto, ritratti di dame e cavalieri. L’intervento sul bassorilievo di Isaia da Pisa riguarderà la trabeazione, con la scritta “Maria Mater Gratiae”, e i quattro grandi capitelli che sormontano le quattro colonne che oggi risultano ricoperti di tinta gialla, ma che in realtà sono in oro zecchino. Due mesi di lavoro e poi lo scrigno potrà essere riaperto.

Foto Gallery Luciano Pasquini

  

  

 

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