Appena fuori porta Civita Castellana, in località Legata, c’è un sentiero poco conosciuto di arte naïf: qui, sulle sponde del Treja, da oltre vent’anni Gildo Cecchini è l’anima di un laboratorio a cielo aperto di sculture in tufo. Grandi facce dai tratti primitivi, forme sensuali e figure zoomorfe (leoni, gufi e serpenti) tappezzano il fazzoletto di terra riemerso all’indomani della distruzione di una vecchia diga di una centrale idroelettrica. Negli anni alcune sculture sono state donate ad amici e conoscenti, altre trafugate ma tantissime rimangono ad abbellire spontaneamente quest’oasi naturale che d’estate diventa luogo di ritrovo per i civitonici in cerca di refrigerio.
Classe 1940 e piglio dionisiaco, Gildo è noto in paese come l’ex barbiere capace di sforbiciare la roccia, il genius loci che ha marchiato il territorio con la sua capacità di interagire con la natura. Ci racconta che le sue creazioni hanno attirato curiosità e ammirazione, finendo nelle ville di personaggi famosi di cui non svela il nome. “Vengo qui quasi ogni giorno e, tra una scultura e l’altra, mi prendo cura del posto, contribuendo a renderlo decoroso”. Ne risulta, infatti, un giardino perfettamente integrato nel paesaggio.
Artigiano istintivo più che artista nel senso canonico del termine, ha scoperto la malleabilità del tufo per caso, giocando in acqua con il figlio. “Eravamo nel fiume e fingevamo di essere dei primitivi – dice – e a un tratto ho avuto l’idea di fare un volto con pezzo di tufo”. Provando e riprovando, ha iniziato a misurarsi con porzioni di roccia sempre più grandi, trovando il suo personale linguaggio d’espressione. Tra i sui cavalli di battaglia ci mostra una coppia stilizzata che si bacia, precisando che si chiama Zapatero, nome scelto in omaggio alla riforma del codice civile a favore delle coppie gay promossa dall’ex premier socialista.
Nonostante lo scultore del Treja sembri aver trovato la ricetta per rincorrere con leggerezza il tempo che passa – “a 105 anni penso di trasferirmi in Russia perché il clima freddo mi aiuterà a conservarmi meglio”, dice scherzando – è lecito chiedersi quale sarà il destino dei tufi animati di Legata e se sia azzardato ipotizzare una loro valorizzazione in ottica di promozione del territorio. Una risposta arriva da Francesco Florio, un giovane civitonico che da un po’ di tempo ha iniziato a frequentare la “bottega” del Treja, raggiungendo a detta del maestro ottimi risultati. “C’è un discreto passaparola che conduce qui diversi curiosi provenienti da fuori – spiega mostrando una delle sue creazioni, un gigantesco volto che si erge dai campi –. Devo molto a Gildo che mi ha incoraggiato a scolpire, tirando fuori una passione che avevo dentro ma che non conoscevo. Sono attratto dalle figure umane, dalla trasformazione plastica che subisce un elemento naturale come il tufo. Legata è il mio rifugio, il posto in cui mi sento libero di creare”. Accomunati dalla voglia ancestrale di rendere figurale e leggibile ciò che caoticamente emerge dalla terra, tra i due è nata una salda amicizia. “Credo che la vera magia sia proprio questo legame intergenerazionale. Ci supportiamo a vicenda. E continuiamo a scolpire fianco a fianco, ognuno inseguendo le proprie visioni”, chiude Francesco.
Foto di Marco Midossi