Franco Chiaravalli, da facchino di Santa Rosa a Priore dell’Arciconfraternita del Gonfalone

Di Luciano Pasquini

Pesare cento chili e avere un fisico da rugbista a Franco Chiaravalli gli è valso il nomignolo di “Quintaletto” non poteva andare diversamente, ed è con questo nomignolo che la maggior parte dei viterbesi lo conosce. Ex facchino della Macchina di Santa Rosa, dove ha ricoperto tutti i ruoli con ben ventotto trasporti. Ha iniziato con l’indimenticabile “Volo d’Angeli” di Giuseppe Zucchi fino ad arrivare ad “Ali di luce” di Raffaele Ascenzi, due macchine legate da un sottile filo di continuità. E’ proprio con Giuseppe Zucchi che inizia un percorso durato tanti anni, ricordando il suo esordio, del tutto casuale. Dopo aver accompagnato alcuni amici a sostenere la prova per superare l’idoneità allo sforzo fisico si sottopone anche lui alla prova, più per emulazione che convinzione, riesce a superarla anche con una leggero sbandamento che prontamente recupera. Mentre i facchini anziani lo aiutano a liberarsi del peso sente una voce che non ammette repliche “Domani vatti a fare il vestito…” Era cosi entrato a far parte dei Facchini di Santa Rosa e il “vestito” come lo aveva chiamato Giuseppe Zucchi è la tradizionale divisa dei Facchini di Santa Rosa, bianca con fascia rossa alla vita. Ricordi che snocciola nella sua nuova veste di Priore Arciconfraternita del Gonfalone, Araldi della Madonna del Carmelo, ricostituita Don Mario Brizi, parroco della Chiesa di santa Maria Nuova. E’ passato tanto tempo e alla devozione della Santa patrona di Viterbo ha unito quello della Madonna del Carmelo che ogni sedici di luglio viene portata a spalla vie del quartiere, facendo rivivere la storia della Arciconfraternita lunga più di settecento anni.
Alla narrazione segue la visita di cui Franco Chiaravalli nella veste di Priore è guida solerte. Attraversiamo un piccolo locale poco illuminato che ci immette da lateralmente alla chiesa. Acceso l’impianto di illuminazione dono della Fondazione Carivit sopra di noi appare ai nostri occhi uno spettacolo meraviglioso, quegli affreschi a tromp d’oeil del soffitto catturano subito la nostra attenzione, quasi a voler accrescere lo spazio della chiesa.
Franco Chiaravalli il nostro Quintaletto ci descrive con dovizia di particolari quanto ci circonda e siamo affascinati da tanta bellezza qui a due passi da casa nostra. La Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone, è da considerare come l’esempio del barocco a Viterbo. A fine visita nell’accomiatarci dal nostro Priore già Facchino di santa Rosa siamo confortati che quanto ha visto luce sin dal XII secolo, rimanga custodito con lo stesso principio e la stessa devozione di culto di fine caritatevole e di coinvolgimento con la città. E gli auguriamo e ci auguriamo che lo scapolare di cui il nostro priore è stato investito sia emblema di un triduo di una tradizione in cui ritrovarci tutti insieme. Soprattutto il prossimo 16 luglio.


Cenni Storici

“La Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone, è da considerare come l’esempio del barocco a Viterbo. Fu costruita per volontà della Confraternita del Gonfalone che era una delle più considerevoli della Città, sia per i possessi, che per il numero di confratelli facoltosi. Era detta in origine Confraternita di san Giovanni Battista e sin dal XII secolo aveva sede presso un oratorio in Contrada Valle, poi, il 16 Marzo 1561, si aggregò alla Confraternita del Gonfalone di Roma, fondata nel 1264 da san Bonaventura da Bagnoregio (1217 – 1274).
Ne assunse quindi il nome, l’insegna e la divisa. La Confraternita del Gonfalone vestiva di sacco bianco con cappuccio e cordone dello stesso colore con una croce bianca e rossa in campo azzurro, sulla spalla destra. suo fine caritatevole era quello di raccogliere le elemosine per riscattare gli schiavi cristiani caduti in mano dei Turchi, di visitare i malati e di fare la dote a due fanciulle orfane, di buoni costumi. Nel 1581 la Confraternita della Misericordia, con sede nella Chiesa di santa Maria della Carbonara, a Viterbo, ridotta nel numero dei confratelli, si unì a quella del Gonfalone”.

Fonte: Mauro Galeotti: “L’illustrissima Città di Viterbo”, Viterbo 2002

 

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