Daniele Silvestri, il don viceparroco di Ellera e Paradiso con un’idea di Chiesa che interpreti il presente

di Laura Pasquini

Don Daniele Silvestri

Dal 1° dicembre 2024, il Vescovo di Viterbo S.E. Mons. Orazio Francesco Piazza, ha nominato don Massimiliano Balsi parroco e legale rappresentante delle parrocchie “S. Maria del Paradiso” e “S. Maria dell’Edera” e vice parroco don Daniele Silvestri, quest’ultimo un’omonimia marcata con il cantautore romano che nel suo percorso nuovo ama definirsi un cantastorie. La storia di don Daniele, giovane prete ventiseienne, parte da San Martino al Cimino, il piccolo principato della Tuscia, è la sua voce a scandirla per raccontarci, in un mercoledì mattina di dicembre nella sua nuova casa, un cammino di vita comune a quello di tanti giovani della sua età, sino ad arrivare all’atto creativo di un lavoro di sé che è il più bello della sua vita l’Ordinazione sacerdotale nella sua terra, la Tuscia. Pronto al sorriso e a consegnarci la sua testimonianza.

Com’era Daniele bambino, quali sono i suoi ricordi più forti?

Sono stato un bambino felice, che ha desiderato sempre quello che poi ha realizzato nella sua vita, diventare sacerdote. Il mio è stato il coronamento di una vocazione avvertita sin da piccolo. Ho vissuto un’infanzia serena e sana con la mia famiglia, sull’esempio forte dei miei genitori, dei miei nonni. Una famiglia che mi ha orientato verso la coerenza interpretabile in quel tutto che deve essere vissuto in trasparenza di ciò che si è veramente. Oggi più che mai sono chiamato a vivere una vita consapevole, che vale pure per tutti gli esseri umani e si sintetizza nel conoscere te stesso per vivere nella serenità la tua missione.

Quindi la consapevolezza nel sacerdote si ricompone all’essenza…

Vivere in modo essenziale significa vivere in modo doveroso, senza che la propria vita sia distratta da cose materiali. Significa la capacità di affrontare la vita con responsabilità.

In questo processo di consapevolezza, che poi lo ha spinto al sacerdozio, chi l’ha accompagnata?

C’è una figura forte nella mia vita. Ho sempre sentito il desiderio di approfondire, non mi sono mai fermato alla banalità. Questo mio desiderio è stato colto da un sacerdote che è entrato nella mia vita in modo provvidenziale nell’anno della mia Cresima, nel 2014, con l’arrivo del vice parroco a San Martino al Cimino, il mio paese, che affiancava lo storico don Bonaventura. Si tratta di don Fabrizio Pacelli, che è stato l’intermediario attraverso il quale il Signore, ha lavorato su di me, sul mio cammino spirituale.

E come tutto è iniziato?

Ho cominciato un percorso di accompagnamento spirituale, che ormai dura da più di dieci anni, in cui don Pacelli è stato sempre presente, rimanendomi a fianco, sempre pronto ad ascoltarmi. Le esperienze a cui ci ha avviato come gruppo giovani sono state per me fondamentali per aspirare a una vita che ponesse la mia religiosità a un livello più alto e hanno allargato le mie visioni e delineato la mia strada. Allargare gli orizzonti, questo è quello che don Fabrizio mi ha aiutato a fare. La sua guida spirituale e l’ascolto sono stati i punti cardini attraverso i quali ho potuto conoscere, come direbbe San Paolo, oltre la profondità di me stesso, le impenetrabili ricchezze di Cristo. Che ti porta alla presa di coscienza di chi sei e dove vuoi arrivare.

Quando ha sentito la “chiamata” a essere un servitore della Chiesa?

Quando ho preso consapevolezza che Dio fosse entrato in ogni parte della mia vita. Rivelandosi attraverso le persone, gli incontri che ha posto sul mio cammino. E poi nella preghiera, che altro non è che mettere la nostra vita, il nostro cuore, il tutto di noi stessi al ritmo del cuore di Dio. Tutto quello che viene creato nell’Amore è spontaneo. E noi siamo liberi di fare la nostra scelta.

La diocesi ha accompagnato la sua ordinazione, facendo veicolare una comunicazione dirompente che potesse arrivare alla comunità. Ne ha sentito l’effetto?

Sì, mi sono sentito al centro dell’attenzione e, se questo caratterialmente non mi appartiene perché non amo mostrarmi e preferisco essere dietro le quinte, lo considero un atto d’amore verso la comunità di Ellera e Paradiso che mi sta accogliendo e anche l’esigenza di una società che, evolvendosi, necessita di un’apertura all’esterno per far meglio arrivare quella visibilità che ci avvicini con maggiore facilità agli altri.

E’ stato più emozionante per lei il giorno dell’ordinazione in Cattedrale o l’ingresso in parrocchia?

Il giorno più emozionante della mia vità è stato quello della mia prima messa, perché mi sono sentito veramente trasportato dalle persone che mi vogliono bene e che mi hanno accompagnato. Ho respirato l’Amore come espressione totale. Come nella celebrazione della prima messa, dove mi sono lasciato davvero far trasportare da quello che stavo vivendo. Da quel giorno la mia vita è cambiata. E ora eccomi qui: prete, ma soprattutto Daniele.

E’ vicario parrocchiale, affiancato da  don Massimiliano Balsi, pastore di 18mila anime in una parrocchia estesa che raggruppa due chiese de La Quercia, Ellera e Paradiso, per quattro quartieri, incluso il nascente Santa Lucia. Molto impegnativo…

Fare il prete è prima di tutto andare incontro alle persone che ci vengono affidate. Essere un punto di riferimento. Come mi ha detto mia madre il giorno della mia prima messa: “Ricordati sempre di fare il prete come Cristo vuole, di farlo bene e di esserci sempre per tutti”, perché le persone hanno bisogno di qualcuno su cui poter contare, anche se spesso quello che puoi dire loro non è più di quello che loro stessi saprebbero dirsi da soli.

Un nucleo giovanile promettente, una banda musicale, un teatro, un gruppo scout. C’è un dinamismo enorme, come intende vivacizzarlo?

Di fatto ho trovato e scopro ogni giorno una comunità attiva di per sé con realtà vive che provano a esprimere nei loro modi la bellezza di essere insieme parrocchia. Camminando uniti, guarderemo in continuità cercando di portare avanti ogni esperienza affinché avvalori la parrocchia stessa. Ci sono molti giovani attivi e volenterosi già in azione. Guardiamo avanti.

Qual è l’emozione più forte che ha tratto dal suo cambio di passo? Vive ancora in seminario?

Attualmente vivo nella casa del clero. Il cambiamento più forte da quando sono diventato prete è non avere più una giornata uguale all’altra, è molto stimolante perché non c’è nessuno schema, nessun orario che scandisca il mio tempo. Questo sta anche a significare essere a disposizione in modo continuativo e spontaneo ed è il segnale più forte che desidero possa arrivare ai miei parrocchiani.

Quali pensa siano le priorità pastorali della sua parrocchia, divisa nettamente tra giovani e anziani?

C’è una pastorale che si rivolge ai più giovani, e qui ci sono tante opportunità, e una pastorale per chi è più anziano, e qui la pastorale assume forme diverse, di accompagnamento e di assistenza, soprattutto ai poveri che, sempre in numero maggiore chiedono aiuto. Il Signore ci chiede di cambiare il modo di vedere la presenza pastorale all’interno della Chiesa. Non possiamo pensare che la Chiesa del Terzo Millennio sia quella che abbiamo conosciuto nel tempo precedente. Tutte le diocesi si stanno chiedendo come essere presenti e non far mancare nulla con risorse sempre più esigue. Si lavora avvalorando un’appartenenza di fede senza confini che sostenga un concetto di fratellanza.

Quello di don Daniele Silvestri è un intenso cammino spirituale di crescita nella fede, che aiuta a scorgere dentro le crepe del presente i varchi dentro i quali Dio inaspettatamente si fa trovare.

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