Dall’Esame di Maturità alla certificazione delle competenze

Prof. Gianni Ginnasi

Tanti anni fa usciva nella nostra provincia (Viterbo) un singolare libricino di una mia collega che raccontava l’esame di Maturità e il suo vissuto da dietro le quinte , il vissuto di studenti e di commissari durante, appunto, il cosiddetto “Esame di Maturità “; fu un lavoro molto apprezzato a livello nazionale. Oggi quella collega non è “preside” ma come si dice ora: “dirigente scolastico” e l’esame si chiama “Esame di Stato”.
Molto è cambiato da allora: oggi lo studente può iniziare il suo esame con una slide con il titolo della sua trattazione o (sarebbe sembrato impensabile tempo fa) può proporre all’intera aula di indossare un “naso finto“ e coinvolgere tutti in attività volte a presentare supporti terapeutici per i ragazzi di oncologia pediatrica, mostrando di conoscere – secondo il proprio livello – di essere competente nel proporre una presenza positiva e di supporto a bambini meno fortunati.
Tuttavia, può accadere che, colleghi più abituati a sistemi di verifica – diciamo così – “datati”, forse inconsapevolmente, possano creare un clima difficile quando si debba, ad esempio, verificare un algoritmo matematico particolarmente complesso; o facciano difficoltà ad accogliere gli esiti di lavori di gruppo realizzati durante un anno scolastico e mirati alla produzione di competenze da spendere in un futuro lavoro, con la conseguenza di far vivere agli studenti, in sede di esame, momenti di disagio poco proficui.
Chi sbaglia ? La trasformazione della didattica in questi anni, rivolta più alla costruzione di competenze che non alla sola assimilazione nozionistica, ci porta a ritenere che, soprattutto in sede di esame, porre uno studente in un clima di accoglienza e di ascolto delle sue esperienze e ricerche, non possa che giovare alla sua “maturità”, nella personale consapevolezza che il percorso di studi intrapreso per cinque anni, lo hanno condotto a quelle meditate conclusioni.
Sarà, magari, accaduto così a quella studentessa che introduce la Serendipity (cioè la fortuna di trovare qualcosa quando se ne sta cercando un’altra) e ha collegato questo concetto alla sua tesina poiché, ha sostenuto: ”anche se nella vita ci poniamo degli obiettivi da perseguire, c’è sempre la possibilità di imbattersi in qualcosa di nuovo e inaspettato, che stravolge piacevolmente i nostri piani”.
O l’altro ragazzo che nel suo articolato percorso, così pieno di entusiasmo ha voluto raccontare “ cosa tiene accese le stelle”, esempi questi che rappresentano come gli studenti abbiano già intravisto e sognato un loro futuro, condividendolo con passione con i commissari del loro esame.
Non sappiamo ancora come sarà l’esame dei prossimi anni, già in via di modifica, ma possiamo dire che quando si leggeva Plutarco, quell’autore raccomandava :
“Bisogna però che alla teoria si unisca la pratica, attraverso l’esercizio delle personali capacità inventive, per costruirsi una forma mentis , bisogna insomma mettere anche i pigri in condizione di poter proseguire da soli, dopo che sono riusciti a comprendere i capisaldi della filosofia, affinché, tenendo a mente ciò che hanno ascoltato, possano utilizzarlo ai fini di una loro ricerca personale, accogliendo la parola altrui come seme e principio da sviluppare ed accrescere. La mente non è un vaso da riempire, ma come la legna da ardere ha solo bisogno di una scintilla che l’accenda e le dia l’impulso per la ricerca e un amore ardente per la verità.”
Molti studenti lo stanno dimostrando in questo Esame di Stato.

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